Tutti insieme appassionatamente

Dal possesso al noleggio. Dal lavoro solitario a quello “social” dove il vicino di scrivania non è un potenziale disturbatore, ma fonte di stimolo crescita e, perché no? A volte anche di business. Tutto questo è il coworking, un’idea nata negli Stati Uniti e poi diffusa nel resto del mondo.
Stiamo parlando di open space che, proprio come normali uffici, sono dotati di postazioni singole e collettive con telefono, Internet e wi-fi, stampanti e altri servizi: li occupano freelance, professionisti, start up, ma anche viaggiatori d’affari che hanno bisogno per qualche ora o per qualche giorno di un luogo dove lavorare. Il valore aggiunto? Invece di isolarsi come in un qualsiasi business center, qui è possibile coltivare relazioni, fare nuove conoscenze, condividere la propria esperienza. Nei coworking, dove comunque prima di tutto si lavora, le aree comuni non sono spazi per perdere tempo o fare semplicemente una pausa, ma ambienti dove possono nascere opportunità.
Ivana Pais, che insegna Sociologia economica presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, inserisce il coworking all’interno di una nuova concezione del lavoro. «Il fuoco dell’attenzione si sta spostando dal singolo lavoratore alla rete in cui è inserito. Il capitale umano acquista valore grazie al capitale sociale, alla rete di relazioni che consente la circolazione delle informazioni e delle conoscenze che creano competitività e innovazione.L’azione individuale e collettiva lasciano il posto a quella connettiva. Il binomio lavoratore dipendente/autonomo è superato dalla necessità, per tutti, di essere lavoratori “interdipendenti”: fare networking e coltivare reti di relazioni professionali diventa una delle competenze centrali per inserirsi e muoversi nel mercato del lavoro».
Utile anche per trovare contatti, appoggi e professionalità in luoghi poco conosciuti, il coworking si è diffuso velocemente anche in Italia dove anche enti locali, camere di commercio e associazioni di categoria hanno deciso di sovvenzionare o aprire spazi di questo tipo. Il Comune di Salsomaggiore in provincia di Parma, la Cna di Parma (Confederazione nazionale dell’artigianato) e quella di Ferrara, e poi ancora Vado Ligure e Modena, sono alcuni esempi di nuove aperture che si aggiungono alle iniziative private che coprono ormai molti centri della Penisola.
I modelli sono differenti. C’è chi le vede come un’iniziativa di business, chi punta sullo sviluppo di relazioni e chi ne fa un’attività collaterale al business della propria azienda, utile per trovare nuovi contatti e professionalità.

Lab121 di Alessandria ha scelto le relazioni. Prima ha lavorato sulla community e poi ha costituito un’associazione no profit e ottenuto dal Comune uno spazio dove, accanto al coworking, si svolgono una serie di eventi e corsi. Si parla di ecodesign, ci sono le lezioni della Croce Rossa e lo speed meeting dove si racconta il proprio business a potenziali clienti. Quasi un centro sociale dove 450 soci pagano cento euro l’anno e «Il lavoro è il tema centrale», come spiega una delle fondatrici, Stefania Burra. 135 euro mensili per una scrivania è la tariffa del coworking dove si alternano professionisti, l’ingegnere che lavora per un’azienda tedesca e ogni tanto ha bisogno di una postazione e la società locale che fa e-commerce di vini.
Spostandoci a Milano, la musica cambia di poco. Dal 2008 Massimo Carraro ha sviluppato Cowo. I soldi li porta a casa con la sua agenzia di comunicazione, ma negli spazi inutilizzati ha provato a importare in Italia quell’idea di condivisione nata negli Stati Uniti. Il progetto prende piede e nel 2009 lancia un programma di affiliazione. Oggi i Cowo sono 90 in 54 città. E per Carraro «al primo posto ci sono le relazioni e dopo viene il profitto». Gli affiliati, racconta, sono aziende che hanno uno spazio a disposizione e vogliono allacciare nuove relazioni con un piccolo guadagno. «Più che un business è un valore». Per questo pagano una fee di 250-500 euro l’anno per l’affiliazione a Cowo a seconda dei servizi utilizzati e vendono le postazioni a un prezzo medio di circa 180 euro.
Anche dalle parti di Enter, Internet service provider milanese, non si pensa a guadagnare vendendo scrivanie. Con 1.450 mq di spazi a disposizione un’ottantina di selezionati coworker lavorano assieme ai dipendenti della società. Una soluzione che secondo Stefano Garavaglia, Party manager di Enter, «ha cambiato anche il metodo di lavoro di Enter che, tra l’altro, non è più il posto di lavoro, ma il luogo dove si lavora». Biliardino, un cortile per due chiacchiere e le riunioni nel bistrò interno rafforzano il clima molto “Google” della società, che riserva gli spazi del coworking solo a professionisti del mondo tencologico.
Progetto decisamente orientato al profitto è quello di Davide Dattoli, 23 anni: Talent Garden, un coworking diffuso in sette città italiane aperto 24 ore al giorno con 445 postazioni di lavoro. Oggi Davide si prepara a portarlo a New York visto che il suo progetto è stato scelto dal Comune della Grande Mela che ogni anno seleziona cinque progetti innovativi.
Dattoli ha scelto di focalizzarsi sul digitale, ospitando solo professionisti del web (freelance, makers, start upper) che possono accedere al network di Tag dopo avere sostenuto un colloquio di ammissione con i coworker già presenti all’interno della struttura. «Come se fosse un club, perché cerchiamo di selezionare i talenti». Fare parte di Tag diventa quindi un valore perché non si frequenta il coworking per risparmiare sui costi, ma per fare parte di un gruppo. Meglio se selezionato.

E all’estero?
Copass.org è un sito che raccoglie gli indirizzi di coworking sparsi per il mondo. Clicchi sulla cartina e ti appaiono gli indirizzi di quasi 150 spazi dagli Stati Uniti all’Africa, fino all’Austalia.
Se siete a Berlino un sondaggio ha decretato il Club Office (http://club-office.com/) come il miglior spazio della città seguito dal Betahaus di Kreuzberg (http://zonaspace.ru/english) con tanto di bicicletta parcheggiata nell’open space e amaca per lavorare in relax, ma anche uno spazio per trecento persone per organizzare eventi.
Perché la sola vendita di scrivanie è un business non così profittevole. E allora molti spazi organizzano presentazioni, conferenze, corsi di formazione per spingere ulteriormente il business. A volte ci sono anche incontri molto informali, come capita nel cowo milanese di Massimo Carraro, dove ognuno presenta la sua attività.
Negli Stati Uniti c’è solo l’imbarazzo della scelta. Se si passa per Chicago The Coop(http://nextspace.us/nextspace-river-north/) è uno spazio che offre una eccellente connessione alla rete in termini di velocità e un ambiente frequentato soprattutto da studenti, programmatori e designer.
A Los Angeles, dove i prezzi sono un po’ più alti rispetto alle altre città americane, per venti dollari al giorno è possibile frequentare il Kleverdog (http://www.kleverdogcoworking.com/), che fra i propri plus comprende anche la vicinanza con il Dodgers stadium per una partita dopo il lavoro. Lo Strongbox West di Atlanta racconta di un ambiente simile a quello di un college (http://strongboxwest.com), mentre il Tsp digital lounge di Boston è situato vicino ad altri servizi utili come ufficio postale e Mail box, è contornato da decine di caffè, shop e ristoranti e offre anche un servizio per la riparazione dei Mac.
Tornando in Europa, altra città piena di cowo è Barcellona. Il Gracia work centre è uno degli spazi principali della città (www.graciaworkcenter.com/) che affitta anche uffici, mentre l’Idea(www.grupidea.com) è uno studio di architettura situato nella parte vecchia della città, che ospita fino a 25 persone che condividono le aree con i dipendenti dell’azienda. È uno degli spazi di coworking meglio attrezzati della città.Al suo interno è presente anche uno spazio grande evento dotato di quattro proiettori video.

Testo di Luigi Ferro, Mission n.3, maggio 2014

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