L’onda d’urto provocata dal taglio delle commissioni negli Stati Uniti ha oltrepassato l’oceano, facendo sentire i suoi effetti anche sul mercato italiano. A sorpresa, infatti, nel luglio 2002American Airlines ha comunicato con una breve nota alle agenzie la decisione di estendere l’azzeramento delle commissioni base per «voli su itinerari che partono dal territorio statunitense o canadese», ovvero sui voli in partenza dagli Usa venduti direttamente all’estero. E così come era avvenuto lo scorso marzo – quando alla decisione di Delta, primo vettore americano, di non pagare più le commissioni base alle agenzie si erano subito uniformateContinental, American Airlines, Us Airways, United e Northwest – anche questa volta l’esempio è stato immediatamente imitato e, a distanza di pochi giorni, è arrivato anche il comunicato ufficiale di United Airlines, che a partire dal 15 ottobre non «riconoscerà più alle agenzie di viaggio situate al di fuori degli Stati Uniti la commissione Bsp sui biglietti emessi il cui itinerario abbia origine negli Stati Uniti e Canada».
Obiettivo: abbattere i costi
Ma cosa ha spinto i vettori americani a ad assumere una decisione così impopolare, destinata a intaccare pesantemente il rapporto con le agenzie di viaggio? In un momento di grave crisi del trasporto aereo (i risultati del secondo trimestre dei vettori americani hanno nuovamente fatto registrare perdite secche e cali di fatturato a due cifre), l’intento era ovviamente quello di diminuire le spese riducendo i costi di intermediazione. Anche se – sottolineano i vettori, di fronte alla Commissione istituita dal Congresso americano, dietro sollecitazione dell’associazione delle agenzie di viaggio – all’origine della scelta di puntare sulla distribuzione diretta a discapito delle agenzie vi sono soprattutto le elevatissime booking feeincassate ad ogni transazione dai gds. Che – si legge in una dichiarazione di Al Lenza, vicepresident di Northwest – arrivano a pesare fino a 14 dollari a biglietto e aumentano del 7%l’anno.
In realtà la decisione dei vettori Usa di azzerare le commissioni – nonostante sia arrivata come una doccia fredda agli agenti di viaggio, già provati dalla crisi del turismo di questi mesi – era nell’aria da diversi anni ed era stata preceduta da una serie di progressive riduzioni delle commissioni base, l’anno scorso passate dal 9 al 7% (voli internazionali) per quasi tutte le compagnie americane ed europee. Inoltre già British Airways nell’aprile 2001 aveva tagliato le commissioni base, mentre Sas ha appena annunciato il passaggio, a partire dal primo gennaio 2003, a tariffe nette, che porterà a una diminuzione dei prezzi del 7% sulle tratte internazionali e del 5% su quelle nazionali. Spetterà poi al cliente decidere se pagare di meno il biglietto, prenotandolo via Internet o call center, o se avvalersi dell’agenzia di viaggi, riconoscendole una fee (indicativamente tra i 13 e 40 dollari) per il servizio.
Diverso invece il comportamento di Air France che, dopo un braccio di ferro durato sei mesi, ha siglato con la Snav (l’associazione nazionale delle agenzie francesi) un accordo che prevede il mantenimento delle commissioni al 7%, ma abolisce il programma di remunerazione complementare che fissava degli incentivi sulla base dei risultati ottenuti. L’intesa è entrata in vigore nel gennaio 2003 e rimarrà valida fino al 2006.
Il mercato italiano
Ma quali sono reazioni del mercato italiano? Come ovvio, la decisione dei vettori statunitensi di estendere il taglio delle commissioni a tutti i voli originanti dagli Stati Uniti ha suscitato le vivaci proteste delle agenzie, già provate dai tagli del giugno 2001, quando Alitalia – seguita poi dagli altri vettori – aveva ridotto le commissioni dal 9 al 7% sui voli internazionali e dal 7 al 5%sui collegamenti nazionali.
Le associazioni di settore (Assotravel, Assoviaggi, Astoi e Fiavet) sono insorte contro quello che definiscono un tentativo di non riconoscere il ruolo delle agenzie di viaggi. In una lettera aperta inviata ad American Airlines, hanno, infatti, dichiarato di voler ricorrere a vie legali, in quanto «non è accettabile in via di principio che una prestazione che apporta un utile a un soggetto non debba essere remunerata».
Il punto di vista dei vettori
Questi, dunque, i fatti. Di seguito vi proponiamo i commenti dei diversi attori del settore su questo tema così spinoso. A cominciare proprio dai vettori e, in particolare, da United Airlines, una delle compagnie aeree “al centro del ciclone”.
«La decisione di United va interpretata come un adeguamento al mercato americano che, però, incide su una fetta di traffico che in Italia è minima e sicuramente non avrà gravi ripercussioni sulle agenzie di casa nostra – sottolinea Claudio Balzarini -. Anche se la compagnia sta portando avanti una politica di taglio dei costi di distribuzione, non ha alcuna intenzione di compromettere i rapporti con le agenzie, del cui ruolo insostituibile è perfettamente conscia. Continuerà perciò a remunerare le agenzie attraverso incentivi e overcommission».
Altrettanto rassicurante è il commento di Giselle Le Nozer, direttore commerciale per l’Italia di Air France. «La commissione di base non si tocca, ma le agenzie devono capire che oggi si deve lavorare diversamente e rivedere di conseguenza le loro strategie. Noi siamo pronti a premiare le adv attive, creative, capaci di trovare con noi nuove soluzioni per sviluppare il traffico. In Italia il 90% dei biglietti Air France passa attraverso le agenzie, che restano quindi un caposaldo per la compagnia. Dunque per noi è fondamentale sviluppare questo rapporto, in un’ottica di partnership e di remunerazione basata su criteri di qualità. Con un obiettivo di fondo: soddisfare il cliente».
La parola alle agenzie
Queste le opinioni dei vettori. Ma qual è, invece, il punto di vista delle adv? «Le agenzie di viaggio – sottolinea Luca Patanè, presidente di Uvet American Express Corporate Travel – rendono un servizio, oltre che al consumatore, anche ai vettori, per conto dei quali si occupano non solo della vendita dei prodotti, ma anche della promozione e di tutta una serie di attività di supporto, che vanno dalla prenotazione dei posti all’informazione su voli e servizi fino all’assistenza in caso di scioperi o smarrimento dei bagagli. Non solo: le agenzie di viaggi si assumono anche i rischi finanziari della vendita, dal momento che si trovano a dover pagare ogni mese il Bsp, a prescindere dall’avvenuto pagamento da parte del cliente. Perché dunque non dovrebbero ricevere un adeguato compenso per il loro lavoro, come del resto accade in altri settori merceologici?».
«Negli ultimi anni si è innescato un processo – aggiunge Patrizia Mondoni, direttore di Bopa BT – che penalizza sempre più gli intermediari. Per affrontare il cambiamento del mercato, l’unico modo è diffondere sempre più la cultura del transaction e management fee, formule contrattuali che prevedono che l’agenzia ristorni all’azienda le commissioni ricevute dai fornitori e riceva, invece, un compenso per il servizio fornito. Si tratta di soluzioni che pongono l’accento, piuttosto che sugli sconti, sul reale valore delle agenzie e sul loro ruolo di consulenti. Attualmente il mercato italiano, costituito prevalentemente da piccole e medie imprese che esigono esclusivamente contratti a rebate, non è ancora pronto per adottare questo tipo di remunerazione. Ma proprio da questo fattore dipenderà, in futuro, la nostra sopravvivenza».
In tutto questo, come si configurerà il rapporto tra aziende e agenzie? Una volta venuti meno i ricavi rappresentati dal ristorno delle commissioni, le aziende saranno disposte a riconoscere delle fee alle adv? «Saranno obbligate a farlo se vorranno usufruire di un servizio di qualità – risponde Alfredo Pezzani, account manager di Bti Italia -. Altrimenti dovranno organizzarsi per prenotare direttamente tramite i call center delle compagnie aeree o via web e per acquistare i biglietti in aeroporto o presso le biglietterie dei vettori. Cosa improbabile. Sicuramente le imprese saranno più attente alla qualità del servizio fornito dall’agenzia, che dovrà quindi diversificare la propria offerta e diventare più professionale. Mentre trarranno beneficio dal fatto che, riducendo le commissioni, le compagnie aeree non aumenteranno i prezzi dei biglietti».
Le grandi aziende
Ma ascoltiamo anche l’opinione dei travel manager di alcune grandi aziende, a cominciare daIbm.
«Già da due anni – racconta Enzo Tomasi, buyer, insieme a Filippo Cantù, della multinazionale americana – la nostra azienda ha negoziato direttamente con alcune compagnie aeree e per alcune tratte sconti “upfront”, ossia tariffe corporate nette della commissione d’agenzia». «Questo non significa – puntualizza Cantù – che intendiamo eliminare dal processo l’agenzia, che svolge per noi un importante ruolo di consulenza. In Italia, per il momento, il ruolo delle adv non può essere assolutamente messo in discussione. Sicuramente, però, in futuro le agenzie dovranno cercare di fornire strumenti e servizi differenti da quelli offerti fino a oggi. Dovranno consentire alla clientela l’accesso ai loro sistemi di prenotazione, prevedendo interfaccia “user friendly” affinché i dipendenti possano effettuare direttamente e senza difficoltà le prenotazioni». «In fondo – aggiunge Tomasi – tra i compiti dell’agenzia c’è proprio quello di fornire al cliente nuove soluzioni di acquisto della biglietteria aerea».
«L’impatto dei tagli alle commissioni, in Italia, rispetto ad altri mercati maggiormente evoluti, è molto più forte – afferma Roberta Anzalone, responsabile sourcing business travel di Fast Buyer -. Da noi, infatti, il regime commissionale è sempre stato tanto alto da coprire in gran parte le spese di viaggi dell’azienda (tramite sconti o ristorni, ndr). Dover aggiungere una nuova voce in bilancio per il servizio fornito dall’agenzia, dunque, potrebbe provocare un forte disagio nelle imprese.
«Anche Fast Buyer – prosegue la Anzalone – ha valutato l’ipotesi di introdurre in azienda un sistema di self booking. Questo strumento, però, richiede grossi investimenti iniziali e una certa maturità dei dipendenti, altrimenti rischia di appesantire solo il processo senza procurare all’azienda reali vantaggi».
La specificità del mercato italiano
Sebbene il nostro sia stato un giro di microfono abbastanza veloce, un’idea delle reazioni del mercato ce la siamo fatti. E possiamo dire che – al di là di qualche voce un po’ allarmista – tende a prevalere un atteggiamento abbastanza pragmatico, che sottolinea la specificità del mercato italiano, difficilmente contagiabile da fenomeni stranieri. Per quanto riguarda, invece, le aziende – fino ad oggi abituate a considerare l’agenzia come fonte di ricavi – crediamo che non sarà facile per le agenzie riuscire ad ottenere fee realmente adeguate al costo dei servizi, se non a prezzo di un difficile e faticoso percorso di maturazione del mercato.
Data di inserimento: 28/04/2003