Revenue management: il rebus delle tariffe

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Tariffe corporate o acquisti online? È questo il dilemma dei travel manager alle prese con le prenotazioni alberghiere. L’avvento del web e l’implementazione di strategie di pricing estremamente dinamiche hanno infatti reso obsoleti, nell’opinione di molti, i cari, vecchi accordi a prezzi concordati per i clienti business. Ne sono convinti, soprattutto, coloro che pensano di trovare, sempre e in ogni caso, la tariffa migliore sul web. Ma è davvero così? Come mai, e secondo quali principi, i prezzi delle camere presentano spesso grandi oscillazioni nel volgere di poche ore? Gran parte della risposta sta in una tecnica, nata negli anni Settanta nell’ambito dell’aviazione civile e progressivamente diffusasi anche nel comparto ricettivo: il revenue management.
«L’espressione inglese significa, letteralmente, gestione del fatturato», spiega Franco Grasso, consulente revenue di oltre 120 strutture italiane, formatore di fama internazionale e autore di diverse pubblicazioni sul tema. «Con essa si sottintende la ricerca del mix ideale di azioni tariffarie e commerciali, al fine di ottenere il miglior risultato economico possibile. Si può applicare a tutte le aziende in possesso delle seguenti caratteristiche: alti costi fissi e bassi costi variabili, impossibilità di stoccare il proprio prodotto e capacità limitate».
Oggi, in effetti, alcuni principi base del revenue management sono utilizzati anche nella gestione di parcheggi, centri estetici, spazi congressuali, ristoranti e pub. Basti pensare, per esempio, alle promozioni legate all’happy hour, appositamente ideate per attirare la clientela negli orari in cui i locali sono poco frequentati. «Il revenue management, però, non è solo una questione di sconti», ci tiene a precisare Piergiorgio Schirru, già business analyst Alitalia e revenue manager Royal group hotels & resorts, oggi consulente alberghiero Blastness. «Si tratta, infatti, di una disciplina particolarmente articolata, che comprende anche un’attenta gestione dell’inventario. In ambito ricettivo, inoltre, non riguarda unicamente la vendita delle camere, ma può prevedere pure azioni di up-selling relative a servizi diversi dal soggiorno in senso stretto. Il tutto, però, sempre con il fine ultimo di allargare le opportunità di ricavo per gli hotel».

I principi base
Ma quali sono, in sintesi, le sue regole principali? «L’obiettivo finale del revenue management è quello di applicare una tariffa dinamica, capace di individuare, ogni volta, il miglior prezzo del momento, in modo da ottenere il massimo profitto e garantirsi la massima forza commerciale», riprende  Grasso. «In un periodo di vacche magre, per esempio, una tariffa bassa permette non solo di lavorare sui volumi, ma anche di promuovere la struttura attraverso il passaparola online e offline».
Nell’applicazione delle tecniche di revenue non esiste però nessuna formula magica, in grado di calcolare con precisione i piani tariffari una volta inseriti gli input corretti. «La forza e la debolezza di questa tecnica», racconta ancora Grasso, «è che alla fine tutti gli elementi devono essere miscelati ed elaborati dalla sensibilità e dall’intuito personale del revenue manager: statistiche e supporti informatici, certo, sono utilissimi per rilevare i dati, ma il cerchio si chiude solamente nel momento in cui tutte queste informazioni vengono tradotte dal responsabile revenue in azioni tariffarie e commerciali. Chiunque abbia provato a elaborare prezzi in maniera matematica, solamente in funzione dei dati, ha sempre miseramente fallito».
Da parecchi anni, e con una forza che continua a crescere, il web ha in effetti generato una forte instabilità di scenario: in un contesto tanto complesso e mutevole, diventa perciò impossibile spiegare tutto con una formula. Già la semplice, classica, segmentazione degli ospiti in clienti  leisure e business, per esempio, impone stili di revenue management estremamente differenti tra loro: «Normalmente i vacanzieri presentano finestre di booking molto ampie, soprattutto quando parliamo di viaggiatori internazionali che devono acquistare anche il biglietto aereo. Si tratta, inoltre, di una tipologia di domanda spesso particolarmente flessibile e attenta al prezzo», ci confida Schirru. «In questo caso, si può quindi lavorare minuziosamente sulle tariffe del giorno e proporre prenotazioni con parametri specifici, quali il soggiorno minimo e la non rimborsabilità, in modo da orientare la scelta dei viaggiatori verso date più convenienti all’hotel. Il cliente business, invece, prenota tipicamente all’ultimo minuto e richiede flessibilità e disponibilità di camere in qualsiasi momento dell’anno. Per un revenue manager, quindi, una delle sfide più complicate è quella di stimare il numero giusto di stanze da allocare a ciascun segmento».

Consigli per i travel manager
In tale contesto, appare allora lecito domandarsi se oggi abbia ancora senso parlare di tariffe corporate. «Le tariffe concordate continuano ad avere una loro ragion d’essere, anche se non per tutti gli alberghi e non per tutte le destinazioni», risponde prontamente Grasso. «Il problema non è tanto nelle tariffe concordate in quanto tali, ma nel modo in cui queste vengono stabilite. Pratiche del tipo “dimmi quanti pernottamenti mi fai e ti applico una buona tariffa” fanno ormai veramente parte di un passato che non ha più senso. Gli alberghi dovrebbero, invece, proporre sempre la migliore quotazione possibile, per cercare poi di ottimizzare presenze e fatturato». La non facile congiuntura internazionale di oggi, in particolare, potrebbe favorire i travel managerpiù consapevoli e preparati in materia di revenue management: «Per sua stessa natura», rivela Grasso, «il mercato business sta soffrendo maggiormente la crisi rispetto a quello leisure. Le aziende, perciò, attraverso lo sviluppo di una cultura diffusa di revenue management, possono sicuramente porsi nelle condizioni di risparmiare molto denaro, ottenendo per di più notevoli benefici in termini di servizio. Con tutte le positive ricadute che ciò può  comportare per chi viaggia per lavoro, magari senza troppo entusiasmo, e cerca in un hotel piccoli piaceri e semplici comodità  quotidiane».
Buoni risparmi si possono, per esempio, ottenere provando ad allungare il soggiorno (solitamente le tariffe per le prenotazioni superiori alle tre notti sono scontate), oppure accettando la clausola di non rimborsabilità. Anche acquistare servizi aggiuntivi, quali i classici trasferimenti o altri prodotti alberghieri più esclusivi, può condurre a un contenimento complessivo dei costi. Ma le migliori opportunità possono nascere soprattutto dal comune interesse che lega aziende e hotel. «Le camere in convenzione», aggiunge sempre Grasso, «dovrebbero, in teoria, essere vendute al prezzo più basso possibile: sul sito proprietario, e nelle varie agenzie online, in altre parole, non dovrebbero mai essere pubblicate tariffe di livello inferiore. Purtroppo, però, come ben sanno i travel manager, non è affatto sempre così. Il mio consiglio è quindi quello di negoziare una convenzione best rate guarantee, che consenta alle imprese di pagare sempre il prezzo più basso riscontrabile su qualsiasi canale distributivo». Il nocciolo della questione, insomma, è lo stesso che regola i rapporti tra alberghi e tour operator: la valorizzazione degli interessi comuni per quella che gli esperti di marketing chiamano soluzione win-win, ossia una strategia doppiamente vincente per entrambi i protagonisti dell’accordo.

La pratica delle grandi compagnie internazionali
Questo, almeno, è quanto dice la teoria. Ma come si comportano, nella pratica quotidiana, le grandi compagnie internazionali dell’hôtellerie? «Negli ultimi anni, le nostre politiche e strategie di pricing, così come quelle dei nostri competitor, sono radicalmente cambiate», conferma Fabiano Aouad, revenue manager & pricing Italia di Accor, quinto gruppo alberghiero per numero di camere a livello mondiale . «Ci siamo dovuti adeguare a quella che è la vendita concorrenziale delle agenzie online e alla stessa dinamicità dei siti proprietari. Da una strategia tariffaria statica e semplice, in altre parole, ci siamo spostati verso una politica di pricing dinamica con forti diversificazioni di prezzi. Se una volta, perciò, gli alberghi pubblicavano semplicemente la tariffa rack e lavoravano poi con quella del giorno, oggi dispongono di molte più classi tariffarie, suscettibili di forti oscillazioni nell’arco della stessa giornata. Due esempi classici sono la Bur, Best unrestricted rate, e la Bar, Best available rate, ossia la migliore tariffa senza restrizioni e la migliore tariffa disponibile». Dello stesso avviso è peraltro anche  Christopher Cooper di Rocco Forte Hotels, una delle principali compagnie luxury dell’ospitalità europea: «La rivoluzione web ha reso il mercato molto più dinamico, ma anche più chiaro e trasparente per i consumatori», sostiene, infatti, il group director of revenue. «E anche il segmento del lusso non è rimasto immune da queste novità. Certo, esistono sempre dei clienti che desiderano un determinato hotel, e una determinata camera, a prescindere dal loro prezzo ma, nel complesso, la domanda up-level è diventata molto più attenta alle dinamiche tariffarie e al rapporto qualità-prezzo di ciò che acquista».
Per Accor, spiega Aouad, gli obiettivi di massima delle politiche di revenue management attuali mirano soprattutto a incentivare l’early booking a discapito del last minute, «ma nei prossimi anni si andrà sempre più verso il profit management», ossia verso l’ottimizzazione della profittabilità della singola tariffa e non solo del semplice ricavo. L’integrazione è poi, secondo Cooper, un’altra delle parole chiave del revenue management futuro: «Nel momento in cui un cliente effettuerà una prenotazione, tutti i dettagli dell’acquisto e dello stesso profilo dell’ospite saranno immediatamente disponibili in ogni sistema informatico del gruppo: dal property management system (pms) al software gds, fino ai programmi di customer relationship management e via discorrendo».

Anche nelle grandi compagnie internazionali, tuttavia, non tutto può essere automatizzato: la politica di pricing di ogni singola struttura, in altre parole, rimane una questione di sensibilità e professionalità dei singoli revenue manager. «Noi forniamo semplicemente i confini entro cui ogni nostro hotel si deve muovere. Ciascuno di loro, poi, adatta le proprie strategie alle singole situazioni contingenti in cui si trova», rivela Cooper. «D’altronde non potrebbe essere altrimenti, quando si ha a che fare con hotel tanto differenti tra loro quanto lo sono, nella nostra collezione, un resort leisure in Sicilia come il Verdura e un classico albergo business a Manchester come il The Lowry Hotel».
I comportamenti dei clienti, la segmentazione del business, l’ampiezza delle finestre di prenotazione e i servizi proposti, nonché la stagionalità della domanda e il set di competitor possono in effetti presentare caratteristiche talmente differenti tra loro, all’interno del portafoglio di una stessa compagnia, da imporre necessariamente grande flessibilità nell’implementazione delle direttive provenienti dagli uffici centrali. Accor, per esempio, in tema di pricing dinamico applica due diversi modelli di gestione, a seconda del brand coinvolto:  l’uno, denominato «shrinking», prevede che lo scarto tra Bur e Bar decresca nel tempo, man mano che si avvicina la data del soggiorno, mentre l’altro, chiamato «parallel», mantiene la differenza tra le due tariffe invariata. «Ma la gestione delle singole strategie di revenue management, anche se supportata da strumenti informatici ad hoc, resta di responsabilità della risorsa umana dedicata, presente in ogni nostro hotel», aggiunge Aouad. «Le decisioni finali, in particolare, sono prese dal revenue manager, in accordo con la direzione dell’hotel e secondo le linee guida di catena atte a garantire l’adeguato posizionamento di ciascuna struttura. Il tutto, naturalmente tenendo sempre in considerazione fattori esterni quali l’evoluzione contingente del mercato e il comportamento dei competitor».

Se il revenue management diventa cooperativo
È chiaro, insomma, che la progressiva diffusione delle tecniche di revenue management in ambito ricettivo sta ampliando notevolmente lo spettro di opportunità a disposizione di un travel manager impegnato nell’ottimizzazione delle proprie strategie di booking alberghiero. Secondo Cooper, in particolare, le classiche tariffe corporate rimangono ancora strumenti convenienti, soprattutto per quelle aziende, e per quelle travel management company, in grado di muovere grandi numeri e quindi dotate di un forte potere contrattuale. «Per tutte le altre realtà, invece, è forse meglio provare a sfruttare le possibilità offerte dal pricing dinamico. In entrambi i casi, però, la variabile principale è rappresentata dalla qualità della comunicazione tra clienti e fornitori». Come già sostenuto da Grasso, quindi, il segreto sta nell’implementazione di un’effettiva strategia win-win. «Il consiglio migliore ai travel manager, a mio parere», conclude infatti Aouad, «è quello di analizzare le proprie necessità di booking sulla base dei dati storici disponibili (numero dei viaggiatori, date e durate dei soggiorni), per poi pianificare in anticipo le prenotazioni dei mesi successivi. Ciò consentirebbe loro di negoziare con le catene alberghiere tariffe dinamiche aderenti alle proprie effettive necessità, dando al contempo l’opportunità ai fornitori di offrire tariffe estremamente competitive. Si otterrebbe, in questo modo, una sorta di revenue management cooperativo a mutuo beneficio di aziende, viaggiatori e hotel».

Una strategia di micro-marketing di successo
Bob Crandall può essere considerato uno dei padri fondatori dello yield management: una tecnica che si è sviluppata negli Usa di fine anni 1970, all’epoca della deregulation dei voli sui cieli americani. L’allora vicepresidente marketing di American Airlines fu, infatti, tra i primi a individuare la logica più efficace per lo sviluppo di un nuovo sistema di approccio al mercato. Notò, in particolare, che i voli American Airlines volavano, in quel periodo, con un load factor del 50%: trasportavano, insomma, milioni di sedili vuoti. E a partire dalla considerazione che i posti a sedere hanno un costo marginale praticamente nullo, data la netta rilevanza dei costi fissi, pensò che tali sedili vuoti (surplus capacity) potessero essere venduti a tariffe più contenute, così da affrontare la concorrenza dei primi voli a basso costo.
Al fine di catturare il mercato più sensibile al prezzo, sfruttando le potenzialità del proprio Computer reservations system, Crandall introdusse perciò un sistema di prezzatura collegato a determinate restrizioni d’acquisto (21 giorni prima dell’imbarco, tariffe non rimborsabili, permanenza minima di sette giorni) e all’allocazione della capacità operativa. Risolse, in questo modo, due diversi ordini di problemi: evitò che i posti a sedere leisure togliessero disponibilità ai posti paganti tariffe più elevate e impedì, con le limitazioni, che i segmenti business potessero accedere alle tariffe più basse dedicate al segmento leisure. La combinazione dei due elementi, allocazione di capacità e restrizioni, permise di competere sul prezzo con le nuove compagnie nate sulla scia della deregulation, senza intaccare i ricavi provenienti dai viaggiatori d’affari. La nuova classe tariffaria, lanciata nel 1978 con il nome di American super-saver, ebbe subito successo e Crandall volle quindi dare un nome a queste nuove strategie di micro-marketing: egli, però, decise di non servirsi del vocabolo revenue, già utilizzato dal dipartimento finanziario, ma adottò il termine yield, già in uso per descrivere il revenue per passenger mile (ricavo per passeggero e per miglio). Nasceva così lo yield management, che trovò ben presto diffusione prima nel resto del mercato del trasporto aereo e poi nelle grandi compagnie alberghiere.
Il mondo dell’ospitalità, in effetti, apparve fin da subito come un ambiente ideale per l’applicazione della nuova tecnica. «Rispetto al comparto dell’aviazione civile», racconta infatti Piergiorgio Schirru, che prima di approdare nell’hôtellerie è stato a lungo  business analyst Alitalia, «l’industria ricettiva è caratterizzato da una forte differenziazione del prodotto: un valore aggiunto importante per un buon revenue manager, che può così giocare sul prezzo puntando anche sul livello di gradimento del proprio prodotto rispetto a quello dei competitor. Nel trasporto aereo, invece, il servizio offerto è spesso visto dai consumatori come una vera e propria commodity (soprattutto in classe Economy), per cui persino le differenze minime tra i biglietti di una compagnia e quelli di un’altra possono fare la differenza, in questo modo riducendo sensibilmente i margini entro cui è possibile lavorare».

Testo di Massimiliano Sarti, Mission n. 7, novembre-dicembre 2012

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