Un segmento che ha risentito profondamente della difficile situazione congiunturale, ma che si è dimostrato al contempo capace di generare efficienza, migliorando la propria competitività sistemica. È l’immagine dinamica dei viaggi d’affari ripresa dall’ultima edizione della Business travel survey, presentata lo scorso novembre durante il forum di apertura BizTravel Forum, manifestazione organizzata a Milano da Uvet American Express. Lo studio, griffato dallo stesso network agenziale, monitora dal 2006 i dati di circa 700 aziende, con l’obiettivo di tracciare un quadro quanto più attendibile possibile del comparto dei viaggi d’affari nazionale.
I numeri dell’indagine mostrano come la crisi abbia davvero trascinato a fondo le performance del settore, tanto che il volume dei voli business è tornato, nel 2012, su livelli appena più alti di quelli dell’anno base 2001 (+2%), dopo che nel 2007 aveva raggiunto un picco di oltre il 16% superiore a sei anni prima. Tra il 2006 e il 2012, però, mentre le tariffe dei trasporti crescevano del 32% e il tasso di inflazione cumulato si attestava a quota 18,5%, i prezzi del comparto dei viaggi d’affari organizzati scendevano del 29%. «Il che significa un risparmio totale di 4,8 miliardi di euro – ha spiegato, durante il forum di apertura di BizTravel Forum, il presidente di Uvet American Express, Luca Patanè -. È questa infatti la cifra di spesa aggiuntiva che si sarebbe ottenuta se le tariffe delle trasferte business fossero aumentate ai ritmi di quelle del comparto dei trasporti».
Ma in questi sette anni si è assistito anche a un netto cambiamento delle abitudini di consumo delle imprese. «Alle prese con le difficoltà economiche legate alla crisi, le aziende hanno cominciato a cercare nuovi sbocchi al proprio business – ha proseguito Patanè -. È così che le trasferte verso le destinazioni più tradizionali dell’Europa e del Nord America hanno perso progressivamente peso relativo, fatte salve naturalmente le notevoli eccezioni di due realtà emergenti quali la Russia e la Turchia. Da un altro canto è invece aumentata l’importanza di mete alternative come il Sud America, il Medio Oriente o l’Africa. Il Continente nero, in particolare, sta registrando, proprio in questi ultimi anni, una forte crescita della domanda business, soprattutto verso la Nigeria. Certo, si tratta di numeri ancora piccoli in senso assoluto, ma il trend rimane in ogni caso di grande interesse». Un discorso a parte merita infine l’Asia, il cui crescente appeal ha recentemente mostrato alcuni segnali di appannamento. «Soprattutto la Cina, Paese culturalmente lontano dalla mentalità degli imprenditori italiani», ha aggiunto ancora Patanè. «La domanda per l’India, destinazione fino a ieri relativamente poco esplorata dalle nostre aziende, sta al contrario continuando ad aumentare a ritmi esponenziali». Nell’ambito del calo generalizzato della richiesta, è stato però il mercato domestico quello a registrare le contrazioni più marcate: se infatti, nel corso del 2012, la domanda per le destinazioni italiane è calata di oltre il 4%, quella verso i paesi esteri è scesa di una percentuale inferiore al 2%, mentre la componente intercontinentale è rimasta pressoché stabile (-0,3%).
A caratterizzare lo scenario dinamico del business travel degli ultimi anni c’è tuttavia anche la dicotomia treno-aereo. L’avvento dell’Alta velocità (Av) su molte delle principali tratte europee ha infatti reso il trasporto su rotaia un’alternativa credibile alle vie dei cieli. Tra i primi nove mesi di quest’anno e lo stesso periodo del 2012, in particolare, il numero dei viaggi in treno sarebbe aumentato di 15 punti percentuali, mentre le trasferte in aereo sarebbero contemporaneamente diminuite di 3 punti. Sotto le 3 ore e 20 minuti di percorrenza, d’altronde, il treno ad alta velocità appare un mezzo sempre più competitivo, tanto da erodere progressivamente quote di mercato al trasporto aereo. Sulla tratta Milano-Roma, per esempio, l’Av ha ormai conquistato il 47% della domanda business complessiva, con una crescita di ben 14 punti percentuali nell’arco di soli due anni. La nuova richiesta di Alta velocità è ovviamente frutto di una serie fattori. Nel dettaglio, l’anno scorso il numero di passeggeri Av totali è cresciuto, in Europa, di 7 milioni di unità rispetto al 2011: ma di questa cifra, racconta sempre la Business travel survey, il 27% (pari a 1,7 milioni di viaggiatori) sarebbe stato costituito da domanda indotta, ossia da quella creata dalle nuove condizioni di mercato e dall’abbassamento del prezzo medio, mentre il 29% (2 milioni) sarebbe derivato dallo spostamento della clientela dai servizi Intercity a quelli Av. È la restante parte della domanda che avrebbe perciò cambiato modalità di spostamento, con 2,2 milioni di persone (31%) che avrebbero abbandonato l’aereo e 900mila viaggiatori che avrebbero invece rinunciato all’auto (13%).
Per quanto riguarda, poi, gli altri servizi del business travel italiano, riprende a salire la richiesta di quelli ricettivi (+4 punti percentuali tra gennaio-settembre 2013 e stessi nove mesi 2012), mentre appare di difficile interpretazione la domanda relativa agli spostamenti in auto: se da una parte infatti la richiesta sale, anche se di poco (2 punti percentuali), da un altro lato scende considerevolmente la spesa relativa (-5 punti), che tuttavia era reduce da una impennata sorprendente (+20 punti) tra 2012 e 2011. A fronte di tutte queste evoluzioni, i primi nove mesi dell’anno scorso hanno così registrato una seppur lieve inversione di tendenza con il numero delle trasferte che è aumentato di quattro punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2012, mentre la ripartizione delle spese di viaggio ci dice che oggi il budget voli, pur in calo relativo, rimane comunque la voce di uscita principale del business travel, con una quota pari al 68% del totale, seguita da quella per gli hotel (21,7%), dai servizi ferroviari (6,5%) e dall’auto (3,2%).
In termini di motivazioni dei viaggi d’affari, infine, il quadro torna a farsi segmentato: nel confronto 2012-2011, sempre in un contesto di riduzione generale del numero delle trasferte, hanno accusato un calo considerevole soprattutto le trasferte legate alle attività di comunicazione e formazione, mentre si sono dimostrati più resilienti gli spostamenti dedicati allo sforzo commerciale. Nonostante i viaggi individuali siano poi scesi del 3%, restano pur sempre il segmento principale del comparto, con una quota di mercato pari al 63,5%.
La ripresa è vicina: parola di Uvet travel index
Il risveglio dall’incubo crisi è vicino. Ce lo dice l’ultimo Uvet Travel Index: presentato da The European House – Ambrosetti, sempre in occasione del BizTravel Forum, l’indice economico basato sull’andamento del comparto business travel nazionale prevede una crescita del Pil Italia pari all’1% nel 2014; una stima superiore di o,3 punti percentuali rispetto a quanto pronosticato dalla Commissione Eeuropea e dal Fondo Monetario Internazionale (Fmi), e addirittura il doppio delle previsioni Ocse, ferme a un timido +0,5%. «Il dato è particolarmente significativo», ha raccontato il managing partner The European House – Ambrosetti, Valerio De Molli, «perché il nostro indice è stato quello che, a gennaio di quest’anno, si era avvicinato maggiormente al dato reale sull’andamento dell’economia italiana, prevedendo un calo dell’1,5% contro il -0,5% pronosticato dall’Istat e il -0,6% di Confindustria. E oggi sappiamo che il nostro pil scenderà, con ogni probabilità, di una percentuale superiore all’1,7%».
L’Uvet Travel Index nasce, in particolare, dalla constatazione della stretta correlazione tra andamento dell’economia e trend del settore del turismo corporate. Una connessione intuitiva che The European House – Ambrosetti ha indagato approfonditamente a partire dalle serie storiche dello stesso Business travel survey griffato Uvet American Express. In questo modo, lo studio di consulenza strategica italiana ha costruito un parametro tendenziale, chiamato appunto Uvet Travel Index, il cui trend rispecchia al 94% l’andamento del prodotto interno lordo del paese.
Appare quindi davvero vicina la fine di una crisi infinita, che ha colpito duramente tutti i comparti economici italiani: secondo le cifre dell’Fmi, dal 2007 a oggi, il nostro Paese ha infatti visto il proprio prodotto interno lordo scendere dell’8,54% e la disoccupazione salire contemporaneamente di 6,39 punti percentuali, attestandosi attorno all’attuale 12,5% (dati Istat). A fare davvero paura, però, sono le cifre sugli investimenti e sulla produzione industriale: dei veri e propri crolli, con cali rispettivamente pari al -27,94% e al -23,36%. Un baratro da cui l’Italia potrà risalire, secondo le stesse stime Fmi, solo in otto-undici anni, a seconda che si consideri il Pil o gli investimenti complessivi.
Testo di Massimilano Sarti, Mission n.1, gennaio-febbraio 2014