E’ stato spesso dimostrato come la scarsa flessibilità del mercato del lavoro penalizzi il sistema-Italia nei confronti di Paesi che hanno regole meno rigide, tanto che nel giro di pochi anni si sono susseguite ben due riforme volte ad assicurare quella flessibilità indispensabile per competere a livello internazionale. Se fino agli anni Settanta le aziende che dovevano gestire picchi di produzione erano costrette a ricorrere agli straordinari o ai collaboratori esterni (il part-time costava all’impresa più di un tempo pieno e il contratto a tempo determinato aveva regole troppo rigide), con il 1997 la riforma Treu effettua un primo tentativo di superare la rigidità del mercato dell’occupazione attraverso l’introduzione del lavoro interinale, la revisione del part-time e dei contratti di formazione e la fine del monopolio pubblico del collocamento.
Le novità di quest’anno
Ma una nuova e ancora più innovativa riforma si è avuta quest’anno con l’approvazione della legge nata dal Libro Bianco di Marco Biagi. La legge 30/2003 enuncia una serie di principi sulla base dei quali delega il Governo a emanare i decreti legislativi necessari a riformare il mercato del lavoro secondo criteri di maggiore flessibilità. Il ministro del Welfare, Roberto Maroni, ha dichiarato più volte che la riforma sarà resa operativa prima dell’estate con l’emanazione dei decreti che chiariranno anche quei passaggi che nel testo di legge sono poco chiari o troppo generici.
Le novità introdotte dalla riforma Biagi sono l’apertura del collocamento ai privati, una nuova regolamentazione per le operazioni di “esternalizzazione”, l’introduzione di nuove e flessibili tipologie contrattuali, una revisione del part-time e dei contratti formativi, la definizione di nuove regole per le collaborazioni coordinate e continuative e l’introduzione della certificazione dei contratti di lavoro. Vediamo ora più dettagliatamente gli aspetti che avranno un maggiore impatto sul nostro settore.
Staff leasing e outsourcing
La riorganizzazione dei servizi è una scelta indispensabile per migliorare la qualità del lavoro e restare competitivi. Per le grandi imprese spesso la soluzione è rappresentata da processi di esternalizzazione che si concretizzano in operazioni di spin-off o in forme di outsourcing attraverso le quali viene delegata a fornitori esterni la gestioni di attività considerate non strategiche per l’impresa.
In Italia la somministrazione di manodopera è vietata (salvo poche eccezioni) dalla legge 1369/90, che venne parzialmente temperata nel 1997 dalla legge 196 con la quale si autorizzò la fornitura di lavoro temporaneo. Ora la delega, prendendo atto dell’accresciuta tendenza a ricorrere a forme di esternalizzazione dei cicli produttivi d’impresa, elimina totalmente la legge 1369/90 e delega il Governo a riordinare la disciplina dell’intermediazione di manodopera secondo i seguenti principi.
- La somministrazione di manodopera, che potrà essere effettuata solo da soggetti autorizzati, potrà avvenire a condizione che vi sia la presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo individuate dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali.
- Sarà ammessa anche la somministrazione di manodopera a tempo indeterminato.
- Dovrà essere garantito un regime di solidarietà tra fornitore e utilizzatore in caso di somministrazione di lavoro altrui.
- Dovrà essere garantito al lavoratore un trattamento non inferiore a quello ricevuto dai dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice.
- Contemporaneamente viene demandata al Governo l’attività di individuare i criteri distintivi tra appalto e interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di comando e distacco e di interposizione illecita.
L’ammissibilità della prestazione di manodopera a tempo indeterminato sembrerebbe introdurre anche in Italia quello che gli americani definiscono “staff leasing”, cioè la possibilità di affittare i lavoratori da un’agenzia anche per attività che non rispondono a esigenze momentanee, ma che fanno parte permanentemente del ciclo produttivo aziendale, con l’indubbio vantaggio di ridurre costi e adempimenti connessi alla gestione del personale. Non è molto chiaro però quali conseguenze potrebbe avere su tale rapporto la cessazione del rapporto di fornitura tra impresa fornitrice e impresa utilizzatrice.
Trasferimento del ramo d’azienda
Un’altra novità rilevante riguarda il trasferimento del ramo d’azienda. La legge delega dichiara di voler adeguare la disciplina vigente a quella comunitaria e lo fa stabilendo il requisito dell’autonomia funzionale del ramo di azienda nel momento del suo trasferimento: ciò significa che non è più necessario che l’autonomia funzionale sia preesistente al trasferimento, ma è sufficiente che esista al momento del trasferimento stesso.
Si tratta di una norma che dovrebbe semplificare i processi di esternalizzazione e favorire le ristrutturazioni e le riorganizzazioni aziendali.
Infine la legge prevede un regime particolare di solidarietà tra appaltante e appaltatore per le ipotesi in cui il contratto di appalto sia connesso alla cessione di un ramo di azienda. In questo caso bisognerà attendere i decreti attuativi per comprendere cosa si intende esattamente per “regime particolare di solidarietà”.
Nuove forme contrattuali
Certamente le esternalizzazioni non sono l’unica strategia adottata dalle imprese per affrontare un mercato sempre più competitivo: per trasformare i costi fissi del ciclo produttivo in costi variabili legati alla discontinuità del mercato, si sono cercate soluzioni sempre più flessibili anche attraverso l’utilizzo di personale con contratti atipici.
Nell’estate del 2000 i vertici di Electrolux Zanussi, durante la trattativa per il rinnovo del contratto integrativo, proposero l’introduzione del contratto a chiamata per rispondere alle esigenze derivanti dai picchi di produzione stagionali. Diventò un caso nazionale che suscitò un vivace dibattito, ma alla fine la proposta venne bocciata da un referendum voluto dalla Fiom. Oggi il lavoro a chiamata, o “job on call”, ritorna alla ribalta: la legge delega prevede infatti il riconoscimento di una congrua indennità al lavoratore che garantisca al datore di lavoro la propria disponibilità alle prestazioni di carattere discontinuo o intermittente. Per evitare nuove bocciature viene specificato che questo tipo di contratto potrà essere applicato non solo nelle ipotesi previste dai contratti collettivi stipulati dalle principali associazioni sindacali, ma anche, in via provvisoriamente sostitutiva, nei casi indicati con decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali. Resta inteso che il lavoratore non sarà costretto a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, ma in questo caso non avrà diritto a percepire l’indennità suddetta..
La riforma Biagi dà il via libera anche al lavoro ripartito, o “job sharing”, una forma di lavoro nata negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta e introdotto in Italia nel 1998 da una circolare del ministero del Lavoro alla quale non è seguita però alcuna normativa specifica.
Si tratta di un contratto nel quale la responsabilità della posizione ricoperta viene condivisa tra due o più persone che, pur suddividendosi l’orario di lavoro, sono personalmente responsabili dell’adempimento dell’intera obbligazione.
Nell’ottobre del 2002, con la sottoscrizione dell’accordo aziendale per i dipendenti del Gruppo Ferrero, venne prevista l’introduzione dello “job sharing” e una sua sperimentazione di un anno in un’isola produttiva dello stabilimento di Alba, ma si tratta di un caso isolato poiché questa forma di contratto ha avuto poca diffusione in Italia a causa delle complessità organizzative legate all’alternanza dei lavoratori in particolare per le mansioni di responsabilità. Ora il lavoro ripartito potrà essere applicato a prescindere dalle intese aziendali, ma anche qui bisognerà attendere i decreti attuativi affinché ne vengano specificati i dettagli operativi.
Nuove regole per il part-time
Una recente analisi della Commissione europea (Employment in Europe 2002) ha sottolineato come il part-time in Italia abbia avuto una diffusione molto inferiore rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea forse a causa degli eccessivi vincoli e delle rigidità inerenti a questo tipo di contratto. Nella delega vengono riscritte le norme che regolano il part-time così da renderlo più elastico: sarà più facile fare ricorso, con il consenso del lavoratore, a prestazioni di lavoro supplementare nel caso del part-time orizzontale. Non solo: nei casi di part-time verticale o misto l’azienda, a fronte del riconoscimento di una maggiorazione retributiva e con il consenso del lavoratore, potrà variare la distribuzione dell’orario di lavoro o aumentarne/diminuirne l’estensione temporale.
Le co.co.co
Per quanto riguarda le collaborazioni coordinate e continuative la legge delega inverte la propria tendenza e invece che introdurre elementi di flessibilità definisce nuovi obblighi e procedure che tutelino maggiormente una categoria, i cosiddetti co.co.co., che in Italia è rappresentata da oltre due milioni di lavoratori.
Innanzitutto vengono distinte le collaborazioni coordinate e continuative dal lavoro occasionale: non si potrà parlare di lavoro occasionale quando l’accordo implicherà un impegno per uno stesso committente di durata superiore ai trenta giorni nel corso di un anno o un compenso superiore ai 5mila euro.
Ma la vera novità è la rigida subordinazione della collaborazione a una fase progettuale o a uno specifico programma di lavoro: ciò dovrebbe segnare la fine delle collaborazioni generiche. A tal fine la legge delega prevede che il contratto di collaborazione sia redatto in forma scritta e specifichi il progetto al quale è legato, la durata e il corrispettivo.
Vengono previste infine le tutele fondamentali a presidio della dignità dei collaboratori (maternità, malattia e infortunio, sicurezza sul luogo di lavoro).
Collocamento
Infine, un cenno sull’apertura ai privati dell’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. Al fine di semplificare e snellire le procedure di incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro il provvedimento da un lato rimuove il vincolo dell’oggetto esclusivo per le agenzie interinali e di mediazione, il che significa che questo tipo di società potranno svolgere anche altre attività, e dall’altro amplia la platea degli abilitati a svolgere attività di intermediazione: dopo aver ottenuto un’apposita autorizzazione le università, le associazioni, i sindacati, i consulenti del lavoro potranno svolgere attività di intermediazione.
La riforma Biagi, promossa a pieni voti dal mondo delle imprese, si attiene a una filosofia liberista e aumenta la flessibilità organizzativa delle imprese; sarebbe però un errore pensare che si tratti della leva risolutiva per far crescere la competitività del sistema: bisognerà infatti impegnarsi anche per ridurre il peso delle tasse sulle attività produttive, per arginare i fenomeni legati alla criminalità, per risanare i conti pubblici, per migliorare le infrastrutture e per incentivare la ricerca e l’innovazione tecnologica. Senza queste riforme la sola flessibilità del mondo del lavoro non sarà sufficiente.