La qualità dell’aria in Lombardia durante il lockdown: un “laboratorio” unico che sta permettendo l’analisi degli inquinanti e delle emissioni legate ai fattori scatenanti come mai prima d’ora. Ed è di Arpa, l’agenzia regionale lombarda per la protezione dell’ambiente, lo studio appena rilasciato su misurazioni condotte tra il 23 febbraio e il 29 marzo. In seguito alle iniziative di contenimento del Coronavirus, la drastica diminuzione della mobilità e delle attività industriali ha creato le condizioni per una indagine i cui dati aiuteranno a valutare «quali possano essere nella realtà le conseguenze di alcuni provvedimenti finalizzati a migliorare la qualità dell’aria».
In estrema sintesi, forse ci aiuteranno a capire se le limitazioni al traffico dei mezzi più obsoleti o ritenuti inquinanti sono misure del tutto inutili oppure coadiuvanti.
Mai fino ad ora si è potuto valutare in un contesto ambientale tanto “spoglio” di auto e fabbriche aperte nella pianura padana. Vediamo cosa è emerso.
«Relativamente alla qualità dell’aria, per il biossido di azoto (NO2) e ancora più per il suo monossido (NO) e per il benzene (che proviene soprattutto dai gas di scarico dei veicoli a motore) le concentrazioni rilevate si sono sensibilmente ridotte e, in alcune stazioni, risultano perfino inferiori ai valori più bassi registrati in ciascun giorno di calendario nel periodo di osservazione nei dieci anni precedenti», si legge nel documento di Arpa.
In questo caso è facile comprendere che la riduzione delle emissioni è collegata alla drastica diminuzione del traffico veicolare «che in ambito urbano è certamente la prima fonte di ossidi di azoto».
Polveri sottili in Lombardia
E’ interessante notare come si sono comportate le polveri sottili, cioè le particelle microscopiche (PM) che compongono il particolato (l’inquinante delle nostre città).
Arpa spiega i valori di PM10 e PM 2,5 (questi i più pericolosi perché vanno direttamente nei polmoni) nel periodo analizzato. In pratica, nonostante il traffico di auto paralizzato e l’attività industriale ferma, non ci sono differenze macroscopiche rilevanti rispetto a prima.
L’interpretazione è che i fenomeni che partecipano alla formazione, al trasporto e all’accumulo di particolato atmosferico sono talmente concatenati tra loro da non potere assegnare a uno solo di essi la piena “responsabilità” dell’inquinamento dell’aria.
Arpa spiega così: «Riguardo ai valori di PM10 e PM2,5, i dati indicano in maniera evidente la stagionalità di questi inquinanti, che registrano tipicamente i valori più elevati nei mesi più freddi dell’anno. L’analisi dei dati del mese di marzo 2020, pur collocandosi nella fascia bassa della variabilità del periodo, evidenzia un alternarsi di giornate con concentrazioni più alte e altre con valori inferiori».
E ancora: «Alcuni episodi, come quello del 25 febbraio, con un valore di PM10 pari a 82 µg/m³ registrato a Codogno, già in piena “zona rossa”, evidenziano l’importanza del fenomeno di trasporto del particolato e il fatto che le concentrazioni non sono solo influenzate dalle emissioni di prossimità, ma da tutte quelle del bacino di riferimento».
Dal 18 al 20 marzo polveri sottili aumentate
Invece, quando dal 18 al 20 marzo si è registrato un incremento significativo di polveri sottili in gran parte della regione, nonostante la riduzione dei flussi di traffico e di parte delle attività industriali, «è risultato chiaro il contributo della componente secondaria (il particolato che si forma nell’aria) e della situazione meteorologica più favorevole all’accumulo».
«Infine, anche l’episodio del 28 e 29 marzo – quando a causa del trasporto di particolato di origine desertica dalle regioni asiatiche (come confermato dal modello globale “Copernicus Atmosphere Monitoring Service”), le concentrazioni di PM10 sono risultate molto elevate a fronte di un aumento inferiore delle concentrazioni di PM2,5 – mostra in modo chiaro la complessità dei fenomeni correlati alla formazione, al trasporto e all’accumulo di particolato atmosferico».
I fattori dell’inquinamento
Ricordiamo che i fenomeni che incidono sull’inquinamento sono tre: le condizioni meteorologiche (in questo periodo dell’anno favorevoli all’accumulo), la riduzione delle emissioni, in particolare dai trasporti, ma anche dai consumi energetici, dal riscaldamento e dalle attività agricole/zootecniche, infine le reazioni chimico-fisiche in cui sono coinvolti gli inquinanti. Il che significa che questi ultimi si formano nell’aria e non vengono solo immessi dalle attività umane.
Tra l’altro, si ricorda che uno studio in Lombardia, la quale come noto supera in molte aree la soglia massima ammessa di PM10, ha rivelato che la maggior causa dell’origine e dispersione delle particelle è data dalla “combustione di biomasse legnose”. Cioè dalle stufe a legna o a pellets. Esse contribuiscono per il 45% alle polveri sottili, mentre i motori diesel per il 14% e un 13% è dato da particelle che si staccano dalle pastiglie dei freni e dagli pneumatici.
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Qualità dell’aria in Lombardia, le conclusioni di Arpa
Lo studio di Arpa durante il lockdown da Coronavirus conclude che non è possibile stabilire in quale misura i tre fattori responsabili dell’inquinamento hanno determinato la constatata riduzione delle concentrazioni degli inquinanti, come detto di NO2 e di benzene in particolare.
Si legge: «Nel bacino padano, la riduzione rilevata per il particolato è influenzata in modo significativo dalla presenza della componente secondaria (che si forma in atmosfera)».
Infatti, si è osservato che le drastiche riduzioni di alcune sorgenti non sempre hanno impedito il superamento dei limiti, pur contribuendo a ridurne l’entità.
«E ciò evidenzia in modo chiaro la complessità dei fenomeni correlati alla formazione, trasporto e all’accumulo di particolato atmosferico e la conseguente difficoltà di ridurre in modo drastico i valori presenti in atmosfera in situazioni ordinarie».
Tradotto in parole semplici: in Lombardia, ridurre l’inquinamento sarà sempre una dura impresa.
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