Il neo amministratore delegato del gruppo Volkswagen Matthias Müller non perde tempo e prova a prendere il toro per le corna. Presto le 11 milioni di auto che montano il software truffaldino verranno ritirate e il problema verrà definitivamente risolto, grazie a “soluzioni tecniche che verranno comunicate ai clienti in pochi giorni”. Ovvero per rientrare nella scadenza del 7 ottobre fissata dall’autorità tedesca Kba.
Un richiamo che costerà alle casse della casa di Wolfsburg 6,5 miliardi di euro, per controllare 5 milioni auto a marchio Volkswagen, 2,1 milioni di Audi, 1,2 milioni di Skoda e 1,8 milioni veicoli commerciali. Un esborso che potrebbero risultare solo degli spiccioli se confrontati con la mega multa che la casa tedesca si troverebbe ad affrontare negli States, insieme agli indennizzi che potrebbe dover pagare per le class action in preparazione in tutto il mondo. Una spada di Damocle sul gruppo che continua a bruciare valore in Borsa; almeno 8,4 miliardi di dollari dallo scoppio dello scandalo, con il fondo sovrano del Qatar, Glencore e Agricultural Bank of China, tre dei maggiori azionisti del marchio, in profondo rosso. Suzuki, anche possibile partner del gruppo per i motori ibridi prima dello scandalo, ha invece venduto alla controllante Porsche l’1,5% rimanente che aveva nel capitale della casa tedesca. Le azioni del gruppo, per un contrappasso che non si sarebbe mai immaginato, verrà presto naturalmente eliminata dal Dow Jones Sustainability Index che raggruppa le aziende attente alla sostenibilità. Vedo già il ghigno che si dipinge sulle facce di che sta leggendo questa notizia…
Inoltre il piano del nuovo ad, illustrato a oltre mille manager del gruppo, prevede inoltre uno scorporo del marchio Volkswagen, destinato in futuro a diventare “indipendente” come Audi e Porsche e la creazione di siti web di informazione per ogni marca coinvolta.
Intanto oltre alle autorità americane e a quelle europee anche il governo giapponese ha ordinato un’inchiesta sui maggiori produttori di automobili locali (Toyota, Nissan, Mazda e Mitsubishi) e sugli importatori di marchi europei per verificare se i loro veicoli rispettino gli standard sulle emissioni di gas inquinanti. Lo stesso sta facendo la Corea del Sud.
Sottolineando che per i possessori di queste auto non c’è alcun problema di sicurezza, ma solo di emissioni, il governo di Berlino, attaccato da più parti perché si sostiene che sapesse già da due anni, per mezzo del vicecancelliere e ministro dell’Economia, Sigmar Gabriel, ha affermato che “non stiamo combattendo per i manager, ma per gli lavorati. Cercando di evitare un disastro”. Per gli oltre 600 mila occupati del gruppo. Una preoccupazione che abbiamo anche in Italia, per i concessionari dei marchi del gruppo e i loro dipendenti diretti, ma anche per tutti coloro che lavorano nella componentistica, in Piemonte ma anche nel Frosinate o a Cassino, dove il giro di affari è oltre 1,5 miliardi di euro. Un grido d’allarme che viene anche da Banca d’Italia “all’incertezza presente sui mercati globali si è aggiunta negli ultimi giorni quella connessa con le possibili ripercussioni, difficili da quantificare, del grave scandalo Volkswagen sul settore dell’auto e sulle aspettative degli investitori e dei consumatori” ha detto il vicedirettore generale dell’istituto Luigi Federico Signorini, in audizione sulla nota di aggiornamento del Def davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato.