Nel corso dell’ultimo anno le aziende si sono mosse attivamente sul fronte dell’ecologia. Le preoccupazioni espresse a livello mondiale dai maggiori esperti sul clima sono state sicuramente raccolte dai massimi dirigenti politici e aziendali e illustrate all’interno del “bilancio ecologico aziendale” che rappresenta una parte fondamentale degli impegni presi dalle organizzazioni in tema di Corporate Social Responsibility (CSR).
Parlare di greenè diventato anche una moda e la riduzione delle emissioni un’argomentazione necessaria per coniugare la crescita aziendale all’interno di una prospettiva politicamente corretta. La flotta auto entra a pieno titolo in questa discussione, dato che il traffico è uno dei principali responsabili della crescita dei gas serra, di conseguenza quasi tutte le grandi aziende hanno predisposto (o si stanno preparando a farlo) una “green car policy”. Cosa guida le aziende verso questa decisione? Una sincera riflessione sulla necessità di contribuire a rendere migliore il mondo in cui viviamo? Esigenze d’immagine legate alla CSR? Desiderio di risparmiare? La risposta corretta è: un mix di tutte queste motivazioni. Le aziende, a meno che non siano particolarmente illuminate, evitano di sobbarcarsi costi non direttamente legati al loro businessfinché non sono costrette a farlo da una legge o dal mercato. Anche l’immagine aziendale conta in queste decisioni: il responsabile della flotta di una nota azienda farmaceutica mi raccontava tempo fa che nel suo settore è impensabile non portare avanti una politica di rispetto dell’ambiente e della salute, dal momento che la sua azienda rappresenta proprio i valori della salute dell’individuo.
Vera e falsa ecologia
In un contesto che spinge le aziende a dichiararsi “verdi” principalmente per motivi d’immagine e di
bilancio ecologico, può capitare d’imbattersi in alcune che non sono sfuggite alla tentazione di predisporre una green policy che in realtà consolida la situazione preesistente e permette ai driver di aggirare i limiti di emissione, magari pagando una piccola penale. È il caso di una grande multinazionale che recentemente ha introdotto un limite di emissione nella propria flotta, permettendo però ai driver di scegliere vetture con emissioni superiori pagando una cifra mensile fissa molto bassa e non proporzionale alle emissioni stesse: i driver che scelgono un modello al di sopra del limite fissato in policy, pagano tutti la stessa cifra mensile, sia che il limite venga superato di pochi g/km, sia che la vettura scelta sia una lussuosa berlina da 300 CV.
Se consideriamo che, in occasione della pubblicazione della cosiddetta “green policy”, questa azienda ha anche introdotto la possibilità per i suoi top manager di ordinare grandi Suv e auto con cilindrata fino a 3000 cc, ci rendiamo conto di come questa nuova regola non sia particolarmente efficace nell’abbassare la soglia di emissioni, dato che i driver delle fasce medie e basse potranno ordinare una vettura “fuori griglia” pagando poche decine di euro al mese di penale e addirittura i top manager potranno assicurarsi auto altamente inquinanti pagando la stessa cifra irrisoria. Però si può stare certi che questa azienda, nelle sue comunicazioni esterne dichiarerà di aver approvato e introdotto una car policy verde con un limite alle emissioni e che i dipendenti che chiederanno una vettura al di sopra di questo limite dovranno pagare una penale!
Quello appena illustrato è un caso nel quale il bisogno di adeguarsi alle richieste della comunità civile (e magari della capogruppo straniera) viene annacquato dal desiderio di non penalizzare i dipendenti e addirittura di favorire gli alti dirigenti, complice un sistema di valori che vede l’auto più piccola come una diminuzione di status, invece di un contributo alla salvaguardia del proprio pianeta.
Invece la cultura aziendale deve diventare un fondamentale portavoce dei valori di ecologia e risparmio energetico, anche e soprattutto per quanto riguarda l’auto e questo cambiamento culturale dovrebbe partire proprio dall’alto.
Una green policy veramente efficace
Introdurre la componente ecologica nella car policy significa intraprendere un cammino che si dispiegherà su un arco temporale di un certo respiro, sarà pianificato per fasi e richiederà chiare prese di posizione da parte del management, in chiave CSR e di gestione delle persone. A partire dalle scelte che possono impattare i costi a breve termine, come ad esempio l’allungamento delle scadenze, proposto dai NLT e apparentemente in contrasto con l’obiettivo di svecchiare il parco.
In generale, scadenze più lunghe portano a ridurre il bisogno di auto nuove, con conseguenze positive in termini di bilancio ecologico globale: infatti, occorre considerare il ciclo totale di produzione, utilizzo e smaltimento del veicolo, non solo limitarsi alle emissioni di CO2.
Per valutare correttamente in termini ecologici l’impatto dell’allungamento delle scadenze occorrerebbe esaminare l’anzianità della flotta e dei veicoli coinvolti nell’operazione, nonché approfondire le proposte del NLT in termini di compensazione di emissioni, per far sì che l’eventuale differenziale tra livello medio di emissioni del parco attuale e di quello desiderabile sia ben compensato da opportune azioni in grado di produrre un impatto finale pari a zero. In caso di superamento dei limiti di CO2 previsti dalla policy, la differenza di emissioni sulle nuove auto ordinate può essere penalizzata con un contributo ecologico (i fleet manager amano usare il termine “carbon tax”) a spese del dipendente. Anche questa iniziativa deve essere orientata da una chiara decisione del management. Purtroppo, come abbiamo visto nel caso citato in precedenza, spesso il sistema premi-punizioni si trasforma in “premi-premi”, con la tendenza a salvaguardare le posizioni di status acquisite da parte dei driver. In una car policy “verde” veramente efficace, il concetto di “pagare per inquinare” non dovrebbe trovare posto e il management aziendale dovrebbe fissare soglie vincolanti coerenti con l’obiettivo di ridurre consistentemente le emissioni. Questa iniziativa dovrebbe essere preparata con il coinvolgimento di tutte le parti interessate, soprattutto i driver: infatti, tutte le volte che il fleet manager ha coinvolto fin dall’inizio una rappresentanza degli assegnatari nelle preparazione della green policy, i risultati sono stati apprezzabili e l’accettazione delle nuove regole ampia e diffusa, perché sono state percepite come una necessità e non come un’imposizione.
Invece, l’introduzione dell’ecologia nelle car policy diventa spesso causa di discriminazione tra le categorie di utilizzatori: downsizing e penalizzazioni per i driver di livello inferiore, mantenimento della situazione attuale (o miglioramento) per i top manager. Vero è che le vetture di rappresentanza dei dirigenti sono numericamente inferiori, ma il valore dell’esempio e dell’impegno in prima persona nella causa ecologica da parte dei top manager non viene stimolato e il rischio che la policy ecologica venga percepita come una penalizzazione solo per alcuni driver è concreto.
I risultati dell’applicazione delle green policy
Le soluzioni adottate dalle aziende italiane consistono in una serie di misure aventi l’obiettivo di ridurre la cilindrata, i consumi e le emissioni. Attraverso l’introduzione di soglie massime di inquinamento (più o meno vincolanti), l’applicazione di penali proporzionali per i g/km eccedenti il limite e la scelta di una griglia di modelli rispondenti al concetto di downsizing(motori più piccoli, ma potenza salvaguardata), sono stati ottenuti risultati concreti in termini di riduzione delle emissioni e di risparmi, che hanno riguardato sia i canoni (vetture più economiche e con un maggior valore residuo prospettico) sia il consumo di carburante, che ha registrato riduzioni medie del 10%, certificato dai report delle fuel card elettroniche, ovvero un risparmio di 150-200 E per auto all’anno. Questi risultati dimostrano che è già possibile avvicinare gli obiettivi fissati dalla UE. Inoltre, una percentuale consistente dei driver ha rivisto le sue scelte al momento di ordinare l’auto nuova, ovvero ha richiesto un modello simile o uguale al precedente con una motorizzazione minore.
A proposito della riduzione dei consumi e delle emissioni, quasi tutti i fleet manager che hanno condotto misure specifiche hanno segnalato una discrepanza anche del 50% tra i dati di risparmio forniti dalla casa e quelli effettivi. Ciò può dipendere naturalmente sia dalle percorrenze specifiche della flotta in oggetto sia dall’accuratezza della misura, ma in generale evidenza la necessità di predisporre un sistema di misura affidabile e testato nel tempo, che non si limiti a prendere per buone le informazioni “teoriche”, che risultano oltretutto differenti a seconda della fonte che si consulta. L’utilizzo di apparati specifici per la misura delle emissioni effettive sarebbe la soluzione ideale per risolvere il problema della differenza tra emissioni di CO2 reali e teoriche e per valutare in maniera personalizzata le emissioni di ciascun veicolo.
Le aree di applicazione
Una green policy veramente completa, non dovrebbe limitarsi solo a definire delle soglie di riferimento e un sistema di penalità per il loro superamento, ma anche a costruire un modello di mobilità sostenibile basato sul coordinamento di specifiche aree di miglioramento.
Innanzi tutto, come abbiamo visto, un’oculata scelta di modelli e motorizzazioni che garantiscano una costante diminuzione delle emissioni nel tempo, attraverso un piano di progressiva eliminazione dei modelli più inquinanti, la definizione di limiti sempre più stringenti e non negoziabili e l’adozione di alimentazioni alternative, attraverso un programma che consenta di verificarne l’impatto reale. Diversi fleet manager, infatti, hanno verificato attraverso opportune misure che le vetture ibride, per fare un esempio, hanno, nelle loro rispettive realtà, un TCO maggiore rispetto ai veicoli diesel e consumano (e inquinano) di più, data la tipologia di strade percorse.
Ma questo non è sufficiente. Attraverso lo studio della reportistica delle fuel card e l’adozione di strumenti di misurazione delle emissioni per ciascuna vettura, è necessario programmare la riduzione dei consumi a parità di chilometri percorsi, anche grazie al supporto di corsi di guida ecologica. Infine, è auspicabile ridurre i chilometri percorsi attraverso piani di razionalizzazione dei viaggi e l’adozione del telelavoro tutte le volte che è possibile. Tutte azioni che meritano un approfondimento e una pianificazione ragionata e strutturata nel tempo, affinché l’ecologia non rappresenti solo una voce della CSR o una moda, ma un valore ben radicato nella cultura aziendale e un vantaggio competitivo per il futuro, considerando il livello di severità che verrà adottato dagli organismi internazionali negli anni a venire.