Dopo che la sentenza dell’Alta Corte britannica ha spiazzato il governo di Theresa May, intimandogli un passaggio in Parlamento per dare il via al processo di uscita dall’Unione europea senza la possibilità di attivare l’Articolo 50 del Trattato di Lisbona da parte della Premier, che dà il via a due anni di negoziati formali, la Brexit si fa ancora, se possibile, più nebulosa.
Naturalmente i deputati britannici, molti dei quali contro il Leave, non possono e non vogliono ignorare il voto dello scorso 23 giugno di 17 milioni di concittadini. Ma certamente il cammino verso il divorzio da Bruxelles si fa più complicato. Così com’è sempre più complicata la politica economica britannica.
Tra cui il mondo dell’automotive è molto importante, tanto che diverse sono le mosse per far sì che questa industria rimanga competitiva. Tra la spinta del gabinetto May per trattare una zona di libero scambio con i Paesi dell’Unione Europea. “Vogliamo mantenere un accesso libero ai mercati europei, senza dazi e senza impedimenti burocratici”, “promesse” di compensazioni ha detto Greg Clark, il segretario per gli Affari di Downing Street per evitare i dazi del 10% imposti ai beni prodotti al di fuori dell’Efta (dove la Gran Bretagna non vuole entrare per avere mano libera con Cina e India) e le “promesse” ai player dell’industria, primariamente Nissan, per eventuali compensazioni in caso di sazi. Promesse smentite dalle parti in causa, anche se proprio il numero uno dell’alleanza Renault- Nissan, Carlos Ghosn, ha tuonato contro la Brexit, chiedendo “fino a che punto la Gran Bretagna è disposta a perdere soldi dopo aver votato l’uscita dall’Unione europea?”.
Ghosn è riuscito a incontrare il premier Theresa May e pare che proprio in questo incontro il manager franco-brasiliano abbia ottenuto incentivi per il suo stabilimento di Sunderland, dove “il supporto e le garanzie del governo del Regno Unito hanno permesso di confermare la produzione della prossima generazione di Qashqai e X-Trail”. ha detto Ghosn, causando un vespaio di polemiche, che i portavoce del governo hanno subito bloccato con un tranchant “non abbiamo pensato ad alcun incentivo”. Anche perché secondo uno studio della Reuters i contributi statali per convincere i costruttori auto a non abbandonare il Regno Unito potrebbero essere superiori agli stessi salari pagati agli operai britannici. Esaminando i conti di 8 costruttori locali, inclusi Jaguar, Land Rover, Toyota, Bentley, Mini, Rolls-Royce, Aston Martin e Honda, ha calcolato che in media il costo della manodopera incide per il 7,5%. “Se la Gran Bretagna non si assicura un accordo di libero scambio con l’Unione europea, le Case che costruiscono nel Paese dovrebbero pagare una tassa di esportazione del 10%. E, nel caso di Nissan, “il costo di eventuali compensazioni sarebbe di 290 milioni di sterline l’anno, più del costo dei salari dei suoi operai inglesi, che è stato 288 milioni nel 2015”…