Nei tanti corsi universitari e post universitari non è prevista una specializzazione per diventare fleet manager : da qu i nasce la difficoltà da parte dello stesso di spiegare il proprio ruolo ai non addetti. Una mancanza immotivata, visto che la flotta auto, insieme ai costi di mobilità gestiti dal travel manager (altro illustre Carneade a livello accademico) costituisce quasi sempre la seconda voce di costo delle aziende commerciali, dopo gli stipendi. Milioni di euro spesi per dare un benefit importante ai propri dipendenti e dirigenti, oltre che uno strumento di lavoro; cifre ancora maggiori vengono impiegate quando la flotta diventa un asset fondamentale per erogare i servizi ai clienti: assistenza, distribuzione, supporto tecnico, vendita e così via. Nonostante ciò, il fleet manager vero e proprio spesso non c’è e il ruolo viene affidato a qualcuno che lo fa a mezzo servizio, tanto c’è il noleggiatore a lungo termine che con i suoi contratti all-inclusive ci solleva dai problemi di gestione, dietro compenso fisso e determinato. Magari fosse così! Invece anche in questo caso vale un assioma ben conosciuto nelle aziende: il fatto che non esista nessuno ad occuparsi di un determinato problema non significa che quel problema non esista, né che sia gestito in maniera ottimale o economica, nonostante le logiche di risparmio sulla struttura gestionale lascino intendere il contrario. È chiaro che la mancanza di una figura specializzata in grado di gestire problematiche importanti e costose per l’azienda, resta un’incongruenza.
Una professione ibrida
Insomma, è difficile oggi proporsi sul mercato come fleet manager se non all’interno di un altro mestiere: responsabile acquisti, servizi generali o specialista di HR (Human Resources).Talvolta c’è un buyer o un commodity manageraddetto a fleet and travel o ad auto e telefonia e via di questo passo. Raramente s’incontra un fleet manager a 360 gradi, che si occupi con adeguata professionalità solo di flotta: le aziende che hanno scelto quest’ultima soluzione ne hanno tratto grandi benefici, ottenendo in molti casi un vantaggio competitivo sui diretti concorrenti. Si tratta spesso di aziende per le quali il benefit auto è molto importante, ad esempio quelle dell’hi-tech, le telco, le farmaceutiche, nelle quali il fleet manager oltre a rispondere ai bisogni dell’azienda, può dare libero sfogo alla propria professionalità e competenza elaborando e pianificando un percorso di costante e continua ottimizzazione gestionale.
Quello del fleet manager a tutto tondo è un mestiere che è difficile esercitare se non si ha passione: non tanto per le auto (questa può aiutare, ma anche danneggiare il fleet manager, come vedremo più avanti) quanto per il servizio ai clienti, per la qualità, per la sfida di rispondere alle necessità e alle richieste di funzioni aziendali differenti, la cui priorità di volta in volta si può orientare sul risparmio, sulla soddisfazione dei driver, sull’immagine aziendale o sui processi di gestione.
L’assenza di un fleet manager specializzato è talvolta legata a motivi “politici”: molto più di altre aree d’acquisto di beni e servizi, quella della flotta è facilmente sottoposta all’influenza diretta di questa o quella funzione aziendale, amministratore delegato compreso. L’auto aziendale, infatti, è il benefit più importante che in questo momento le aziende sono in grado di erogare, per cui controllare e presidiare la car policy significa manovrare una leva competitiva nei confronti dei concorrenti, sul mercato del lavoro, gestire un importantissimo strumento motivazionale interno e, non ultimo, giocare un ruolo diretto e decisivo nella scelta della propria auto aziendale (modello, accessori, gestione e relativi contributi). Un potere d’influenza che il top management cede con riluttanza a un gestore specializzato. D’altro canto, un fleet manager intelligente ed esperto capisce immediatamente quanto sia importante ottenere una perfetta sincronizzazione con la direzione aziendale: non c’è peggior errore per un manager di qualsiasi funzione operativa, che costruire una propria strategia tecnicamente efficace ed efficiente, ma che risulta scollegata dai macro-obiettivi del top management. Appare abbastanza chiaro dal quadro fin qui tratteggiato che, al di là delle sue competenze tecniche, le caratteristiche che determinano la sopravvivenza e la carriera del fleet manager sono soprattutto di tipo organizzativo e relazionale, affiancate dalla dote d’intuire i trend aziendali e ambientali e dalla capacità di realizzare velocemente gli obiettivi aziendali richiesti.
I rapporti con i fornitori
Oltre alle doti di adeguata gestione dei rapporti con gli altri manager di funzione e di condivisione con la direzione aziendale, il responsabile della flotta deve dimostrare di essere un interlocutore autorevole con i fornitori, in primo luogo con i noleggiatori. Esperienza e conoscenza del mercato delle flotte aiutano, ma, ancora una volta, sono le doti personali, gestionali e manageriali che godono di maggiore considerazione: la conoscenza approfondita del mercato è compito e patrimonio del noleggiatore, la leadership autorevole nel definire le determinazioni aziendali, invece, deve essere esercitata dal fleet manager, autorizzato e sorretto dalla direzione e aiutato dalle altre funzioni aziendali.
In questo contesto, il noleggiatore può diventare un importante partner, una volta definiti i rispettivi ambiti di responsabilità e d’intervento, ma non deve essere considerato un alleato strategico: la partnership va verificata giorno per giorno e comprovata da adeguati strumenti e misure di controllo sul servizio reso.
D’altro canto esistono anche fornitori che non sono affatto interessati ad allearsi col fleet manager, ma tentano di eliminarlo, cercando d’intervenire direttamente “agli alti livelli” per dimostrare che la loro conoscenza e competenza è superiore a quella del fleet manager aziendale e che questo ruolo può essere eseguito in outsourcing.
L’azienda nell’azienda
Nonostante si cerchi di giustificare l’eliminazione del fleet manager interno con ragioni di ottimizzazione dei processi, i motivi che possono “far saltare” un fleet manager sono sostanzialmente quasi sempre gli stessi: la sua distanza, comportamentale e gestionale, dai centri decisionali aziendali, la sua (in)capacità relazionale, la mancanza di un’adeguata reazione agli scenari mutati, quali quelli della globalizzazione e della verticalizzazione delle aziende. Il responsabile della flotta viene continuamente messo alla prova per esercitare queste capacità, in un contesto culturale estremamente sensibile alle questioni che riguardano l’auto aziendale. Si capisce, quindi, perché molti responsabili acquisti preferiscano tenere la categoria auto aziendali per sé senza delegarla a qualche collaboratore: la gestione della flotta, infatti, consente di accedere direttamente ai quartieri alti e di acquisire un ruolo di notevole autorevolezza e importanza di fronte agli altri manager. Un ruolo che talvolta, per inesperienza o semplicemente per incapacità, viene interpretato malissimo dal fleet manager, che sulla gestione flotta costruisce il proprio feudo, scambiando l’autorevolezza con l’autorità e il proprio ruolo manageriale con quello dell’esperto di auto e processi di gestione. Assistiamo così allo spettacolo abbastanza demoralizzante di fleet manager chiusi nella loro “torre d’avorio”, che pontificano e dispensano pillole d’esperienza invece di ascoltare i propri clienti interni, siano essi manager di altre funzioni o assegnatari d’auto aziendale.
Si crea in questo modo un’altra azienda nell’azienda, un fornitore captive di servizi che non si preoccupa tanto della qualità percepita dai suoi clienti, quanto di spiegare tecnicamente la validità delle proprie scelte. In questi contesti, è facile che un outsourcer più proattivo nei confronti delle richieste dell’azienda abbia gioco facile nel convincere la direzione a eliminare il fleet manager, proponendosi come interlocutore tecnicamente specializzato e attento alle esigenze del cliente. Spesso però una decisione di questo genere si rivela nel tempo un grave errore, perché l’outsourcing del fleet manager può essere fatto a condizione che lo stesso non si trovi in conflitto d’interesse attuale o potenziale con altri fornitori, come i noleggiatori, e non sia direttamente coinvolto nella gestione operativa delle attività transazionali. In poche parole, se l’azienda decide di nominare un fleet manager esterno e questi è legato alla società di noleggio o di fleet management, egli tenderà naturalmente a massimizzare l’interesse della società cui appartiene, invece di ottimizzare i processi del cliente. Quindi il fleet manager in outsourcing, sicuramente una soluzione organizzativa valida (anche se sarebbe meglio parlare di professionista/consulente esterno più che di servizio in outsourcing), dovrebbe essere un consulente indipendente: ad esempio un temporary manager con adeguata esperienza, oppure un consulente di una società specializzata nel fornire questo tipo di servizi, ma non può essere l’account manager del noleggiatore o il responsabile dell’ufficio di gestione della società di fleet management.
Cambia lo scenario
Tutto si evolve, tutto cambia prima o poi. E quindi può succedere che un giorno si presenti un signore straniero, mandato dalla sede centrale, che parla inglese con forte accento americano (o tedesco o francese, ecc.) e che vorrebbe fare due chiacchiere sulla flotta auto. Spesso per il fleet manager locale è l’inizio delle fine: anni di progetti, ottimizzazioni ottenute con passione e sacrificio, servizi finalmente ben funzionanti dopo tanto lavoro verranno sacrificati allastandardizzazione dei processi. E il fleet manager dovrà magari abbandonare “l’amata flotta” e tornare a occuparsi solo di acquisti o di servizi generali. Infatti dovrebbe essere chiaro a tutti che quando si verifica questa situazione, la decisione è già stata presa, vari livelli organizzativi al di sopra del fleet manager.
Eppure anche questa situazione può diventare un’opportunità di sviluppo e di carriera se ben interpretata. Tutto dipende dalla capacità del responsabile della flotta di acquisire rapidamente la nuova dimensione, individuando le caratteristiche e gli skill richiesti nella nuova organizzazione, aggiornando la relazione con i top manager (da responsabili diretti diventano stakeholder del nuovo servizio centralizzato) che continueranno ad essere determinanti nelle decisioni che riguarderanno la gestione locale. Ancora una volta le doti più propriamente manageriali e relazionali finiscono per prevalere su quelle tecniche: insomma, il fleet manager, per sopravvivere, deve essere prima “manager” e poi “fleet”! Gli aspetti tecnici di gestione si possono apprendere, le capacità manageriali anche, ma è più difficile e occorre più tempo. Per questo nella scelta di un fleet manager l’esperienza gestionale riveste un ruolo fondamentale. In seguito, nel consolidamento della sua professionalità, la formazione, le opportunità di confronto con gli altri fleet manager, la rete di relazioni ad adeguato livello nel settore automotive e servizi, saranno altrettanto importanti. E aiuteranno a sviluppare la capacità di lettura dei trend in un mercato sempre più dinamico, nel quale nulla sembra essere consolidato per sempre, dove l’accelerazione che le nuove tendenze stanno imprimendo spinge il responsabile della flotta a cercare risposte sempre più aggiornate e ad identificare
nuove opportunità. Il fleet manager di oggi è un anticipatore di tendenze nelle aree-chiave del controllo dei costi della flotta, della soddisfazione dei driver e del presidio dei fornitori: l’intero processo di gestione della flotta è al servizio di questi obiettivi, letti alla luce della strategia aziendale. Per realizzarli, il fleet manager utilizza come risorse la conoscenza del mercato delle flotte e del settore di appartenenza, la capacità d’influenzare il management con dati e informazioni efficacemente interpretati, la rapidità di esecuzione delle strategie di costo e di soddisfazione dei driver determinate dal vertice dell’azienda.