La crisi del settore auto è stata al centro di un convegno che Unrae ha organizzato a Roma, che ha visto l’intervento del presidente Michele Crisci e del direttore generale Andrea Cardinali.
I due vertici dell’Unione Nazionale dei Rappresentanti dei costruttori esteri operanti in Italia hanno fatto chiarezza su una serie di informazioni e spiegazioni totalmente fuorvianti.
«Attribuire la crisi del settore automobilistico europeo al Green Deal è una narrazione fuorviante» ha detto Michele Crisci. «I dati mostrano una realtà ben diversa: tra il 2000 e il 2021 – quindi prima del Green Deal – la produzione di autovetture nei 5 principali mercati europei è crollata da 15,4 milioni di unità a 9,2 milioni. Nello stesso periodo, la Cina è passata da 2 a 26 milioni».
Non solo: tra il 2005 e il 2022 il mercato nordamericano è calato di oltre il 14%. E oltreatlantico il “patto verde” per raggiungere la neutralità climatica non ha alcun effetto.
«L’Europa paga il prezzo di politiche incoerenti e dell’assenza di una visione strategica per accompagnare una transizione sostenibile» prosegue Crisci, criticando anche la politica ondivaga del Governo italiano.
«A giugno i fondi del nuovo Ecobonus per le vetture elettriche sono andati esauriti in poche ore. Il Governo ha poi cancellato l’80% del Fondo Automotive, per poi promettere finanziamenti dedicati solo al sostegno all’offerta. Ma la filiera non può prosperare senza un mercato in salute, e questo non può esistere senza fornire certezze al settore».
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Auto, il prezzo aumenta ma aumenta anche la qualità
In Italia Unrae stima per il comparto autovetture un mercato 2024 a 1,565-1,570 milioni di immatricolazioni. Numeri in linea con l’anno scorso ma ben 350mila unità al di sotto del 2019. E la previsione per il 2025 non è migliore ed è senza segnali di ripresa.
E i veicoli commerciali leggeri? Dopo un 2024 stimato in crescita dello 0,7% sul 2023 e al di sopra del 2019 di oltre 9mila unità, nel 2025 si prevede invece un calo del 4% a 190mila immatricolazioni. Per i veicoli industriali, infine, la stima per 2024 è una leggera flessione, pari allo 0,8%, mentre la previsione 2025 è un pesante calo del 16,5%.
I motivi del continuo calo? I prezzi chiavi in mano, tema che secondo Andrea Cardinali merita comunque ulteriori approfondimenti.
«Il prezzo medio di un’auto è sì aumentato del 58% dal 2011 a 2023. Ma va sottolineato lo spostamento verso l’alto nei gusti della clientela. Poi bisogna considerare l’aumento della tecnologia del prodotto, che ha aumentato il valore delle vetture al punto da renderli oggetti neanche lontanamente paragonabili a distanza di 10 anni. C’è poi il costo industriale, aumentato drammaticamente per l’impennata di tutti i costi di produzione: energia, materie prime (quelle tradizionali e soprattutto quelle critiche), logistica internazionale».
Crisi del settore auto, le cause del calo di vendite e il nodo auto elettriche
La crisi del settore auto e l’aumento dei prezzi delle vetture si scontra con l’erosione del potere di acquisto degli italiani, diminuito di 3 punti in termini reali nello stesso periodo.
Il mercato italiano, il 4° per dimensioni in Europa pari al 12% del totale, presenta evidenti anomalie. La prima è il sottosviluppo delle auto aziendali, che sono quelle con la velocità di rotazione più elevata. A causa di un (annoso) trattamento fiscale penalizzante, queste hanno la penetrazione più bassa fra i 5 Major Market: 42% contro il 67% della Germania.
La seconda? Dal 2021 a oggi la quota di mercato delle auto “alla spina” è ferma poco sopra al 7%, contro quote che negli altri grandi mercati vanno dall’11% a oltre il 26%.
Non solo: l’Italia ha una quota di auto elettriche del 4%, che è 1/10 dei paesi leader del Nord (saliti al 42,5%) ed è addirittura inferiore a Paesi con un Pil pro capite più basso. Fra questi: Portogallo (18,8%), Ungheria (7,2%), Spagna (5,2%) e persino Grecia (5,5%). Ciò dimostra che i fattori limitanti l’adozione dei veicoli elettrici vanno oltre le sole capacità reddituali.
«In alcuni grandi mercati – continua Andrea Cardinali – sono stati interrotti incentivi statali che erano in vigore anche da 15 anni. In Italia li abbiamo avuti a singhiozzo per soli 5 anni. Ciò che molti media hanno titolato come il “tracollo dell’elettrico”, finora si limita ad un calo di quota di 0,9 punti. Non è la crescita attesa, ma certo non è nemmeno un tracollo».
Crisi del settore auto: poche vetture alla spina e poche colonnine di ricarica
C’è poi il tema del costo delle ricariche, molto più elevato che in altri Paesi come Francia o Spagna. Ma anche il tema infrastrutture.
Nonostante l’aumento del 38% in 1 anno dei punti di ricarica, manca capillarità: 11 punti ogni 100 km di rete viaria sono inferiori ai 16,4 della media europea e lontani anni luce dai 125,2 dell’Olanda.
«Il raggiungimento del nuovo e più stringente target del 2025-2029 – conferma Cardinali – è seriamente a rischio. Fra il 2021 e il 2023 il calo medio delle emissioni in Europa è stato di appena 3,5 g/Km, mentre per centrare gli obiettivi 2025 sarebbe necessario un ulteriore decremento di 13 g/Km. Un’impresa ardua, che espone le Case auto al rischio di sanzioni che l’Acea ha stimato in 15 miliardi di euro. Le multe del 2025 vanno assolutamente cancellate, per evitare di affossare definitivamente gli investimenti nella transizione. È concettualmente perverso sanzionare il venditore perché l’acquirente non compra ciò che ha prodotto» prosegue Cardinali.
«Gli obiettivi di abbattimento delle emissioni di CO 2 nel settore automotive sono il risultato di un lungo percorso strategico avviato con l’Accordo di Parigi del 2015 sottoscritto da 195 Paesi».
Unrae da tempo propone una serie di strumenti concreti per accelerare la diffusione di veicoli a zero e bassissime emissioni. Un piano di sostegno pluriennale con almeno 1 miliardo di euro all’anno nel triennio 2025-2027 e la revisione del regime fiscale delle auto aziendali intervenendo su detraibilità Iva e deducibilità dei costi. E infine, una politica mirata per lo sviluppo di infrastrutture di ricarica elettrica e a idrogeno».
«Le nostre proposte non sono solo necessarie, ma urgenti. È il momento di agire» conclude Michele Crisci.