«Why bigger is no longer better»: perché più grande ha smesso di essere sinonimo di meglio. È il titolo di un articolo apparso su Forbes lo scorso settembre, nel quale si sostiene come, nell’era del mercato 2.0, le economie di scala abbiano perso parte dell’importanza che detenevano un tempo. Un discorso difficile da applicare a un colosso dei cieli quale Delta Air Lines, prima compagnia al mondo per numero di passeggeri trasportati secondo i dati 2012 della International air transport association (Iata). Eppure anche la compagnia a stelle e strisce, alle prese con un settore sempre più competitivo, e con la sua leadership globale minacciata dalla possibile fusione tra le arci-rivali United e Us Airways, preferisce puntare su qualità ed efficienza, piuttosto che su un’espansione senza limiti. «Per noi non è importante essere necessariamente i più grandi, ma i migliori», spiega infatti Perry Cantarutti, il senior vice president Emea di Delta, volato a Milano per presentare le novità della programmazione invernale su Malpensa, in risposta all’esordio dei voli Emirates tra lo scalo meneghino e New York. «Se la fusione tra Us e United dovesse diventare infine operativa, ci farà piacere per loro. Noi continueremo a cercare di fare al meglio il nostro lavoro, mirando ad attirare, grazie alla qualità dei nostri servizi, il segmento di mercato che paga di più: i business traveller. Recenti indagini sulla customer satisfaction, peraltro, ci posizionano già tra i migliori player a livello globale».
Tra fusioni, grandi alleanze e modelli di business in evoluzione, l’industria dei trasporti aerei è un mondo in costante fermento. Cosa ci dobbiamo aspettare per i prossimi anni?
«La globalizzazione spinge sicuramente verso forme di cooperazione sempre più strette. Lo dimostrano le numerose joint-venture che stanno sorgendo in questi anni in tutto il mondo. La nostra rimane tuttavia un’industria discretamente regolamentata. Non credo perciò che assisteremo a una completa integrazione transnazionale del business. Continuerà però senz’altro a crescere la collaborazione tra vettori con obiettivi comuni».
Quali le conseguenze per i business traveller?
«Sicuramente avranno la possibilità di migliorare ulteriormente l’accesso ai collegamenti. Senza contare l’estensione dei programmi frequent flyer e il miglioramento dei livelli di assistenza in caso di cambiamenti imprevisti. Soprattutto, però, credo che la progressiva integrazione dei network vada incontro a un’esigenza emergente del comparto business, che oggi non si limita più a spostarsi tra le capitali, ma cerca sempre più frequentemente di raggiungere anche le destinazioni secondarie. Una domanda che può essere soddisfatta, in maniera economicamente sostenibile, solo da forme di integrazione avanzata tra diverse compagnie aeree».
La competizione nei cieli riguarda da vicino anche i costruttori. La diatriba sulla grandezza ottimale dei vettori pare anche qui dividere il mercato. Qual è la vostra posizione in merito?
«Coerentemente con la nostra visione generale, preferiamo l’efficienza alla grandezza: in altre parole, meglio voli più frequenti su aerei più piccoli».
In una recente intervista rilasciata in occasione del World low cost airlines congress, il ceo di Iag, Willie Walsh, ha dichiarato che tutte le major hanno una divisione low cost nel loro futuro. È d’accordo?
«In realtà noi abbiamo cercato più di una volta di gestire una divisione low cost al nostro interno (Delta Express e Song, ndr). Alla fine, però, abbiamo abbandonato l’idea e tratto le debite conclusioni: il nostro core business è rappresentato da un’offerta full service prevalentemente dedicata ai viaggiatori d’affari».
E funziona?
«Sono convinto che uno dei motivi del successo da noi registrato negli ultimi cinque anni risieda proprio nella decisione di non imitare il modello low cost, ma di fornire un servizio completo a prezzi competitivi. E la riprova della bontà della nostra scelta sta proprio nei numeri: Il 2013 è stato un ottimo anno, ma soprattutto i risultati del terzo trimestre sono stati tra i migliori mai registrati nella storia del nostro gruppo».
D’altra parte, però, periodicamente si sente parlare di compagnie low cost intenzionate a entrare nel mercato dei voli transcontinentali. Una possibile minaccia all’orizzonte?
«Le low cost che si cimentano nei voli transcontinentali devono aumentare il loro network; diventano così più mature e affrontano maggiori problemi di costi: in altre parole, hanno bisogno di più ricavi. Con i margini che hanno, l’unica soluzione loro disponibile è quella di fornire servizi extra a pagamento. Ma sinceramente non so quante possibilità di successo abbia un’operazione di questo tipo».
Spostandoci ora dal lato della domanda, cosa pensa della crescita del mercato asiatico e quale sarà, per contro, il destino delle rotte transatlantiche?
«Lo sviluppo dell’Estremo Oriente è sicuramente un fenomeno rilevante. Le rotte transatlantiche, però, continuano a essere le più importanti al mondo e sono convinto che lo rimarranno ancora a lungo».
In una prospettiva di lungo periodo, diciamo da qui a fine a secolo, quale sarà, infine, il destino dei servizi aerei?
«Quello di diventare sempre più convenienti e confortevoli. Nel 2100 penso che muoversi in aereo sarà un po’ come oggi spostarsi in auto».
Testo di Massimiliano Sarti, Mission n.7, novembre-dicembre 2013