Maternità fa rima con competitività

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La maternità in azienda è vissuta come un problema da tutti per i disagi organizzativi che ne conseguono (85%). Quindi, se cambiamo e miglioriamo l’arcaica organizzazione del lavoro di troppe aziende italiane, diventiamo più produttivi e competitivi e capaci di coniugare lavoro e vita personale per tutti. Questa la sintesi di quanto emerge dall’indagine fatta ad aprile 2014 da Manageritalia, in collaborazione con AstraRicerche Edwi Hr, su 636 dirigenti.

Quando l’organizzazione non ce la fa
In particolare, i nostri manager ci dicono che la maternità di una lavoratrice è in azienda un problema per tutti: per i superiori diretti (82,7%), per la direzione del personale e dell’impresa (76,3%), per i colleghi e il suo gruppo di lavoro (50,4%) e per la donna stessa (43,6%). Le cause? Tutti penserete ai costi o al fatto che la mamma lavori meno e/o sia più distratta. Invece no! I manager lo dicono in modo esplicito: l’unico e vero problema è di organizzazione del lavoro per i disagi che conseguono dall’assenza della donna (84,1%). E aggiungono anche che i guai nascono per colpa delle aziende che non fanno nulla per organizzare il lavoro in previsione dell’assenza della donna (62,5%, grafico 1).
Tutti gli altri possibili motivi e stereotipi – le donne prima e dopo la maternità hanno la testa altrove (25%), la maternità crea problemi a chi resta (19%), la donna poi è meno partecipe (6,5%) e diventa inaffidabile (3,8%) –  sono negati da tutti o quasi (80-95%).
Sui rimedi i manager hanno le idee chiare: organizzare l’attività per gestire l’assenza in modo efficiente (94,3%), evitare che prevalga in azienda un clima di tensione e/o di panico (88,8%), adottare una linea aziendale chiara ed esplicita per gestire l’assenza (85,8%), effettuare un affiancamento prima per estendere le competenze della donna ad altri (81,4%), organizzare il lavoro in sua assenza perché questa non comporti stress e non gravi sui colleghi (80,7%). Allora, perché non lo fanno? Perché l’organizzazione del lavoro in Italia è ancora troppo ingessata e arcaica, per leggi, normative, prassi, cultura e stili di management. E pensare che la rottamazione di questi vecchi modelli organizzativi e la diffusione di quelli nuovi è il solo modo per competere, per raggiugere produttività e benessere di persone e aziende. Si tratta di lavorare per obiettivi e premiare risultati e merito, di puntare su una flessibilità biunivoca (in termini di tempi, spazi e modi di lavorare insieme: il collavorare, che oggi serve sempre più alle aziende e agli individui), di motivare, coinvolgere e ingaggiare veramente i collaboratori.

Si chiedono più servizi (non più soldi)
Non si riconosce appieno la bontà della legislazione italiana in tema di maternità: solo il 35,5% ritiene sia tutelata con norme efficaci, solo il 21,1% che sia favorita dallo Stato grazie a contributi economici, solo il 10,1% che sia più favorita dallo Stato italiano rispetto ad altri stati occidentali grazie a contributi economici superiori.
Si afferma che la maternità non è favorita perché in famiglia sempre e solo alla donna spetta la cura degli altri “cari”. Si chiedono allo Stato più servizi utili al rientro al lavoro (84,3%), alla società un sentimento collettivo comune di sostegno della maternità oggi assente (76,1%), in generale una tutela che abbracci tutti i lavori, non solo quelli dipendenti e a tempo indeterminato (71,4%).

Non ci sono stereotipi negativi su donna, mamma e lavoro
Almeno a parole non si nega affatto alla donna il diritto alla realizzazione personale e professionale. Infatti, si afferma quasi plebiscitariamente (89,1%, grafico 2) che – sebbene sia faticoso far convivere famiglia e lavoro – è giusto che la donna-mamma persegua la sua carriera professionale se lo vuole. Un assunto strutturale e assodato, che supera ampiamente ogni contingenza ed emergenza, visto che solo il 46,8% afferma che è indispensabile che le donne con figli lavorino perché c’è la crisi. Negati a larghissima maggioranza eventuali retropensieri circa una diversità sul e al lavoro tra donna con o senza figli. Insomma, pare sdoganata del tutto la parità tra maternità e professionalità.
Se vogliamo tirare le somme di un’indagine ricchissima di dati su tutti gli aspetti più importanti del binomio lavoro/maternità, possiamo dire che non ci sono stereotipi negativi su donna e lavoro (89,1%), c’è poca informazione su alcuni aspetti delle leggi e norme che regolano lavoro e maternità (40%), si chiedono allo Stato non più soldi, ma più servizi per la conciliazione (84,3%). Soprattutto emerge con forza che il problema è organizzativo.

Un’organizzazione capace di far rinascere la competitività
I manager sostengono a gran voce che il problema sta tutto nell’organizzazione, nell’incapacità delle aziende di far fronte in modo efficace ed efficiente al periodo di assenza della donna e, dopo il rientro, alla maggiore flessibilità che gestire una famiglia comporta. Insomma, serve un’organizzazione più al passo con i tempi, con flessibilità di orario(85,1%) e organizzativa (telelavoro 65,7%), dispiego di un welfare a 360 gradi fatto di flessibilità nei tempi e modi di lavoro, di modalità di gestione e ricompensa delle persone basate su obiettivi, misurazione e valutazione degli stessi, merito ecc.: i baluardi di quella nuova organizzazione che, unica, può garantirci di uscire da un anacronismo tayloristico che non abbiamo mai sfruttato appieno e bene prima, e che oggi ci uccide.
Allora, se miglioriamo l’organizzazione del lavoro nelle aziende, per competere e vivere meglio tutti, risolviamo contemporaneamente la competitività del Paese e il problema delle donne che devono lavorare e far figli. Il calo della competitività e della maternità si risolve con un’organizzazione del lavoro più moderna.

Testo di Enrico Pedretti, direttore marketing Manageritalia, Mission n.5, settembre 2014

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