A vederlo dall’esterno, almeno in foto sul sito del Daily News che riporta la notizia (http://www.nydailynews.com) sembra un hotelidentico a tanti altri: invece in Franklyn Avenue, a Williamsburg (quartiere di New York dove la parte nord è il regno degli hipsters e dei creativi, mentre a sud è la zona abitata dagli ebrei hassidici della comunità di Satmar) c’è un albergo, il Condor Hotel, concepito appositamente per gli ebrei ortodossi. Il proprietario della struttura, Zalman Glauber, pur non avendo avuto precedenti esperienze nell’hôtellerie, ha ideato questo elegante albergo di 35 camere dove, tra l’altro, alla reception si parla in yiddish e dal venerdì al sabato nessuno risponde al telefono (per motivi religiosi infatti non solo ci si astiene dal lavoro, ma anche dall’utilizzo di apparecchi elettrici). Nelle camere non ci sono televisori, ma supporti per le tradizionali parrucche e gli ingressi sono due, separati per uomini e donne, nel pieno rispetto delle più ferree regole degli ultra ortodossi. Secondo l’opinione di Glauber, sempre a quanto riporta il Daily News, gli alberghi che rispondano a queste esigenze (compresa la sistemazione di una decina di figli che spesso compongono queste famiglie) sono troppo pochi e quindi ha deciso di buttarsi in questo business, certo peraltro che vi sia un mercato in espansione. Come dimostra anche la prossima inaugurazione di un altro hotel del genere in una strada limitrofa e la presenza, in un altro quartiere a Borough Park (dove vive la più grande comunità di ebrei ortodossi del mondo al di fuori di Israele), di altre due strutture “di nicchia” del genere.
L’offerta alberghiera in Europa
Certo, questo forse è un discorso un po’ al limite, un albergo con un’offerta così precisa e indirizzata. Facciamo allora un altro esempio, molto più vicino a noi, anche da un punto di vista geografico. Dall’inizio di quest’anno, la Camera di Commercio di Bruxelles ha certificato come halal, cioè conformi ai precetti islamici (haram, al contrario, è ciò che è tassativamente proibito) alcune camere d’albergo dotate di confort espressamente concepiti per ospiti musulmani: niente alcol e carne di maiale nel minibar, un Corano e un tappeto per la preghiera. L’obiettivo, sostengono, è quello di arrivare a progettare e costruire alberghi interamente halal, per esempio con piscine separate per uomini e donne. Per fare un altro esempio, il famoso Hotel Sacher di Vienna, durante il Ramadan, fornisce servizi di preghiera e di pasti speciali prima dell’alba e dopo il tramonto. Malgrado la crisi, il cosiddetto “turismo halal” sembra infatti essere ancora in aumento, come affermava qualche tempo fa il World Travel Market Report (WTM), chiamando questo specifico segmento di viaggio un “campo non sfruttato, non solo per il Medio ed Estremo Oriente, ma anche per l’Europa occidentale”. Secondo l’Organizzazione Mondiale del Turismo, infatti, solo i cittadini del Golfo spendono 12 miliardi di dollari all’anno in viaggi di piacere (esclusi dunque i viaggi d’affari). Mercati come la Turchia, la Malaysia, la regione del Golfo, Singapore e Indonesia hanno già dimostrato un forte interesse in strutture musulmano-friendly e alloggi.
Un altro esempio può essere visto in Dubai, dove diversi gruppi alberghieri hanno annunciato lo sviluppo di catene alberghiere conformi alla legge islamica. Tra gli altri il gruppo Almulla Hospitality, che opera con vari brand che ha sede proprio a Dubai, che qualche tempo fa aveva divulgato l’intenzione di aprire 150 hotel halal entro il 2015, non solo in Medio Oriente ma anche in Europa e Nord America. Non mancano i nomi noti: Kempinski ad esempio, la più antica catena di hotel di lusso in Europa, sta costruendo circa 30 alberghi in collaborazione con una multinazionale, Capital Guidance, che può contare su significativi interessi tanto negli USA quanto in Medio Oriente. Gli alberghi, che confluiranno sotto il brand Shaza, sono previsti nel Nord Africa (per ora a Fez, Il Cairo, Marrakech), nella regione del Golfo (ad Al Madina si trova l’unico attualmente operativo) e in Europa (Sarajevo). Altri grandi gruppi e catene avevano annunciato piani di sviluppo in questa direzione, a dimostrazione come questo mercato stia perdendo il suo carattere di nicchia, per quanto non sia facile prevedere oggi, anche alla luce dei più recenti eventi socio-politici, quali saranno i flussi e gli sviluppi di questo mercato a livello internazionale.
Cerimonia del tè e ospiti cinesi
E in Italia? Come si muove questo mercato? E ancora, ci sono attenzioni particolari per queste necessità? Ne abbiamo parlato con chi i turisti internazionali li ospita tutti i giorni, come Antonella Sgobba, direttrice sales & marketing presso il Principe di Savoia di Milano. A lei abbiamo chiesto se esistono delle linee guida, in albergo o a livello di catena, nei confronti di ospiti i cui precetti morali o religiosi li obbligano a particolari comportamenti.
«Non esistono linee guida nel senso stretto del termine: più che altro ci avvaliamo dell’esperienza e della professionalità dei nostri collaboratori per soddisfare le varie esigenze, siano essa legate alla religione, così come alla cultura, alle abitudini comportamentali, a vere e proprie necessità o semplici preferenze. Per un hotel di lusso cultura e religione rientrano semplicemente nelle caratteristiche del profilo dell’ospite».
Quali servizi, in particolare, vi vengono richiesti?
«Generalmente la comunità Ebraica richiede che si rispetti il protocollo della cucina Kosher. Gli ospiti musulmani prediligono camere il cui spazio consenta la preghiera; chi arriva dall’Estremo Oriente invece ha necessità di continuare a celebrare il rito del tè anche in camera. Molte richieste nascono poi dalla cultura sociale degli ospiti: in genere chi arriva dal Medio Oriente ama viaggiare con la famiglia, che nella maggior parte dei casi si presenta numerosa: ecco allora la necessità di accoglierli in suite particolarmente capienti, con una zona di condivisione e socializzazione».
Il personale in hotel è preparato per rispondere a queste esigenze?
«Lo staff ha, nella maggior parte dei casi, una formazione internazionale, in alcuni casi acquisita anche nei luoghi delle culture cui facciamo riferimento; a volte ne fa parte per nascita; altre viene formato per poter affrontare qualsiasi tipo di situazione. In una struttura come la nostra, inoltre, alcune dinamiche e rituali si tramandano di generazione in generazione. Oggi ci stiamo muovendo per essere più preparati alle richieste del nuovo mercato cinese».
Si potrebbe aprire un nuovo mercato?
«Ci sono sempre margini di miglioramento: continuando ad esempio a fare riferimento al mercato cinese, grazie al network di cui disponiamo in Dorchester Collection possiamo condividere importanti informazioni al fine di mettere in atto politiche di implementazione di servizio per accogliere al meglio gli ospiti dell’Estremo Oriente».
L’hotellerie italiana in particolare è pronta a nei confronti di queste richieste?
«Noi italiani siamo ospitali per cultura, potremmo quindi fare scuola. Ciò non toglie che ci si debba porre obiettivi di eccellenza sempre più alti, soprattutto per quanto riguarda quelle culture che arrivano da molto lontano».
Conosce helaltrip.com? Cosa ne pensa?
«Non lo conoscevo, ma se prenderà piede vorrà certo dire che avrà soddisfatto le esigenze dei fruitori, se non altro a livello di informazione. Per hotel di alta gamma come il nostro forse parlare del carattere “friendly” nei confronti di determinate esigenze dei nostri ospiti mi sembra riduttivo, le esigenze di chi soggiorna al Principe sono davvero sacre».
Due parole per spiegare cosa sia Halaltrip.com: è il primo sito web che aiuta i musulmani credenti a organizzare i loro viaggi, siano essi pellegrinaggi o vacanze, indicando gli hotel conformi alla morale islamica. Gli alberghi selezionati su Halaltrip sono recensiti quotidianamente dagli stessi viaggiatori, che possono pubblicare i loro commenti, esattamente come succede su ‘TripAdvisor, Booking.com e altri.
Paese che vai…
Abbiamo posto alcune domande anche a Graziella Pica, direttore commerciale Italia e Mediterraneo Orientale di Wordhotels.
Quali sono i criteri di Worldhotels?
«I rigorosi criteri di selezione e controllo che investono sia la qualità delle strutture che del servizio offerto, nonché la formazione dello staff con corsi a tutti i livelli nell’Accademia interna alla nostra compagnia alberghiera, assicurano competenza e preparazione per soddisfare le necessità degli ospiti, anche in base alla loro religione, sempre nel rispetto di tutte le diversità. Laddove la clientela è particolarmente specifica, vengono inoltre adeguati i menù e anche il trattamento degli ingredienti nella preparazione delle pietanze. Alcuni degli alberghi italiani, ad esempio, ospitano gli eventi della comunità ebraica, come l’Hotel Quirinale a Roma o il Grand Hotel Rimini, a Rimini».
È il mercato attuale che lo chiede?
«Commercialmente Worldhotels è aperta e indirizzata a tutti i mercati, visto che possiamo contare su una presenza capillare nel mondo con 450 alberghi e resort in 65 Paesi, e a seconda delle caratteristiche della struttura e della sua location, vengono utilizzati i canali di promozione più disparati rivolti a diverse comunità: il Royal Garden Hotel di Londra, tanto per fare un esempio, è inserito in siti come Halatrip».
E per il futuro?
«Via via che i Paesi così detti “emergenti’’ incrementeranno la domanda sarà ancora più forte la necessità di proporsi, distinguendosi per la capacità di soddisfare le varie necessità. Soddisfatte le esigenze religiose, chi viaggia vuole anche conoscere “l’altro da sé’’, per cui vale anche la voglia di sperimentare cosa offrono le culture e i luoghi che si visitano, in un’ottica g-local che rifugga dalle standardizzazioni».
Testo di Antonella Andretta, Mission n. 3, maggio 2011