L’autorizzazione al viaggio

Una corretta autorizzazione alla spesa di viaggio è sicuramente un requisito necessario in un’organizzazione, quale quella aziendale, a cui viene richiesto che ogni spesa sia adeguatamente approvata e resa visibile al giusto livello, sulla base di procedure specifiche.

Pertanto, l’individuazione e l’applicazione dei livelli di autorizzazione devono essere ricondotte ai principi della buona gestione aziendale, anche per prevenire abusi e grosse spese impreviste: lo sanno bene certe aziende che, tutte concentrate sulla creazione di “valore” solo per i propri clienti e refrattarie a voler “imbrigliare” il loro modello imprenditoriale all’interno di schemi cosiddetti “amministrativo-burocratici”, in tempi di crisi sono state costrette a rivedere drasticamente le loro politiche e i sistemi di controllo.

Ma i livelli di approvazione devono anche rispettare criteri di ragionevolezza ed efficienza e, quindi, fare capo al principio aziendale dell’“economicità”, trovando un giusto equilibrio tra efficacia ed efficienza del processo di controllo.

L’autorizzazione

Esistono, in relazione al business travel, due tipi di autorizzazione: la prima è quella al viaggio, ovvero la richiesta da parte dell’azienda – o la sua autorizzazione – a impegnare il tempo del dipendente in attività, normalmente di breve durata, lontano dalla propria normale sede di lavoro. Le spese cui il viaggiatore andrà incontro costituiscono il secondo motivo di autorizzazione.

I massimali di spesa, di solito contenuti nella “Procedura note spese” o nella travel policy, fissano con criteri di correttezza ed equità il massimo importo che l’azienda riconosce al dipendente per le spese di viaggio, vitto e alloggio. Essi possono ovviamente mutare, anche considerevolmente, in funzione della tipologia dell’azienda, dell’inquadramento aziendale dei viaggiatori, delle eccezioni approvate ecc. È buona norma, ad esempio, considerare il fatto che alcune città, come Londra, sono molto più care della media, e di conseguenza adeguare i massimali. Vi sono poi alcune tipologie di spese (in parte voluttuarie) che è facoltà dell’azienda riconoscere o meno, a seconda del profilo di viaggiatore e delle politiche di trattamento del personale. Mi riferisco in particolare alle spese telefoniche personali (solitamente riconosciute in misura ragionevole e secondo le procedure per l’utilizzo del telefono all’estero), ai giornali e alle riviste; alle consumazioni al bar e al minibar (in particolare per quanto riguarda i superalcolici), alla lavanderia, al parrucchiere, agli intrattenimenti (ad esempio, il noleggio di video a pagamento), ai centri sportivi o di bellezza, alle mance, alle commissioni di cambio e alle spese di trasporto da e per l’aeroporto per i dipendenti non assegnatari di auto aziendale.

La necessità di sostenere alcuni di questi costi da parte del viaggiatore è in parte connessa con la durata del soggiorno fuori sede, nonché con il livello degli impegni di lavoro. Infine, può essere valutata anche in funzione della tipologia di interlocutore con cui si deve trattare (per esempio, clienti stranieri con usi e costumi diversi dai nostri, come i giapponesi).

La procedura

Qualunque siano la natura della spesa e il suo ammontare, l’autorizzazione viene comunque data a consuntivo sulla base di un documento riassuntivo (nota spese) sottoposto all’approvazione secondo le procedure in vigore. La scelta, che alcune aziende hanno fatto, di far addebitare i costi di biglietteria direttamente sulle carte di credito aziendali intestate ai dipendenti, invece che tramite un unico addebito effettuato all’azienda, consente un maggiore controllo; unica controindicazione, il rischio legato al rimborso dei biglietti non utilizzati: il dipendente potrebbe, infatti, portare a nota spese il costo e farsi rimborsare il biglietto dalla compagnia aerea. Tale rischio viene praticamente reso nullo introducendo l’obbligo di allegare il biglietto originale alla richiesta di rimborso come giustificativo, oltre allo scontrino della spesa sostenuta, pena il mancato rimborso del costo dichiarato.

L’autorizzazione al viaggio, invece, viene concessa preventivamente attraverso accurate procedure di prenotazione (tranne quando il biglietto viene prenotato direttamente dal dipendente ed emesso in aeroporto). In questo caso, occorre che decida se il modello di prenotazione debba essere accentrato (per esempio autorizzando le sole segretarie di reparto – opportunamente informate sulla travel policy e sulle relative autorizzazioni – a richiedere prenotazioni per conto dei dipendenti e a ritirare i relativi documenti di viaggio), oppure decentrato (ogni dipendente è autorizzato a contattare l’agenzia – inplant – la quale, in tal caso, dovrà assumere il ruolo di “guardiano della travel policy”, rilevando le eventuali non conformità). Inoltre, dovrà scegliere quale debba essere il ruolo dell’agenzia e, in particolare, del suo inplant, e se vi debbano essere o meno altri punti di contatto all’interno dell’organizzazione di business travel. Sarà opportuno anche progettare un sistema informativo a supporto del processo decisionale che può andare da un rudimentale sistema di autorizzazione manuale (schede firmate in originale), a un più snello sistema di autorizzazione via e-mail, fino ai più potenti tools per la gestione delle autorizzazioni interne, tramite firma elettronica. Infine, occorrerà identificare il corretto livello di autorizzazione in funzione del livello di efficacia/efficienza richiesto dalla filosofia aziendale (si può andare dall’auto-autorizzazione – per esempio sulle tratte nazionali per quelle figure professionali con una percentuale di viaggi molto alta -, al manager diretto o caporeparto, al responsabile di divisione, fino al direttore generale per particolari circostanze).

Abusi e sanzioni

È chiaro che, nel momento in cui viene stabilito un processo di prenotazione e di autorizzazione, codificato nella travel policy, è necessario che tutte le prenotazioni transitino attraverso l’ufficio preposto, al fine di evitare abusi ed eccezioni non adeguatamente approvate. Se, per esempio, è stato deciso che tutte le prenotazioni debbano essere fatte dall’inplant, previo ricevimento di una e-mail contenente le opportune approvazioni, occorre allora scoraggiare e vietare – e, se possibile, sanzionare – la prenotazione diretta da parte del dipendente, non solo dei voli, ma anche dell’hotel e dell’auto a noleggio: altrimenti si rischia di spendere di più, magari utilizzando fornitori non approvati.

Inoltre, una buona travel policy deve contenere la raccomandazione di effettuare la richiesta di prenotazione con quanto più anticipo possibile, al fine di poter usufruire delle tariffe agevolate e dei fornitori qualificati (ad esempio per poter applicare le economy restricted – Pex; a tal proposito è uso di alcune aziende rendere disponibile al dipendente, sotto forma di spese personali per turismo, parte dei risparmi ottenuti con questa pratica).

L’agenzia deve scrupolosamente verificare l’applicazione delle regole. In particolare, deve utilizzare i fornitori preferenziali e le classi approvate per i voli nazionali, internazionali e intercontinentali.

È logico prevedere sempre delle eccezioni e regolamentare quanto più possibile in anticipo la loro applicazione: sembrerebbe un controsenso, ma in realtà non lo è. Infatti, alcuni casi possono riguardare i viaggi effettuati in compagnia di clienti (in business o first class) o di opinion leader del settore (ad esempio giornalisti), oppure a viaggiare possono essere particolari figure all’interno dell’azienda, come i dipendenti di filiali estere distaccati in Italia per motivi di lavoro.

Infine, tra le filiali di grandi aziende multinazionali, sarebbe ragionevole trovare un coordinamento di processi e di procedure a livello internazionale, al fine di evitare palesi ingiustizie e ridicole differenze di trattamento.

 

Data di inserimento: 23/04/2002

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