La notizia ha riempito le pagine di quotidiani e settimanali la scorsa primavera: a partire da marzo le compagnie aeree di tutto il mondo sono tenute a comunicare alle autorità statunitensi il Pnr. E per chi “sgarra” sono previste pesanti sanzioni. Ma che cos’è il Pnr? Acronimo di Passenger name record, è il registro su cui vengono annotati i nomi dei passeggeri, insieme con altri elementi, tra cui i dati anagrafici, l’indirizzo di posta elettronica utilizzato per prenotare il volo, il numero di carta di credito con cui è stato pagato il biglietto, ma anche le preferenze alimentari (che spesso rivelano l’etnia e il credo religioso) e le condizioni di salute. Insomma, una vera e propria miniera di informazioni (da 25 a 60 per ogni singolo individuo), utili per rafforzare le norme di sicurezza e portare avanti più efficacemente la lotta contro il terrorismo.
Privacy a rischio
Tutto bene, dunque? No, perché la richiesta avanzata dal governo americano è risultata in contraddizione con la carta dei diritti fondamentali della Ue e, soprattutto, con le norme europee sulla privacy (la Direttiva 95/46/Ce). La normativa – recepita in Italia con la legge 675/96 – garantisce infatti che «il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale». E stabilisce che i dati personali vengano trasferiti a Paesi extraeuropei solo a patto che venga garantito un livello di privacy adeguato. In alternativa, occorre richiedere l’esplicito consenso della persona a cui le informazioni si riferiscono.
Chiamata in causa dai vettori, desiderosi di sottrarsi a un compito davvero ingrato, la Commissione Europea è insorta contro il provvedimento americano, lamentandone l’arbitrarietà ed esigendo maggiori garanzie. Le negoziazioni, però, sono ancora in corso e l’esito della querelle è incerto.
Controlli anti Sars
A quanto pare, dunque, l’esigenza di rafforzare i controlli negli scali rischia di trasformarsi in un serio pericolo per la privacy. E si profilano all’orizzonte inquietanti scenari da “Grande fratello”.
Basti pensare alle inevitabili procedure per scongiurare il diffondersi della Sars, il temibile virus della “polmonite atipica” che negli ultimi mesi ha contagiato migliaia di persone, soprattutto nei Paesi asiatici. Su disposizione dell’Aviazione Civile di Singapore, una delle aree a rischio, l’aeroporto di Changi ha installato un sofisticato macchinario a raggi infrarossi in grado di misurare la temperatura corporea dei passeggeri con un test non invasivo. Il controllo, che si svolge alla presenza di personale medico, viene effettuato su viaggiatori e personale di volo a prescindere dalla destinazione. Misure altrettanto rigide sono state adottate anche in Italia, dove il Consiglio dei Ministri ha prescritto il controllo della temperatura dei passeggeri provenienti dalle zone a rischio per mezzo di moderni termometri istantanei da applicare sotto l’orecchio.
Le tecnologie che… ti tengono d’occhio
Ad aggravare la situazione sono giunte alcune recenti novità tecnologiche in grado di far sembrare preistorici i pur modernissimi metodi di controllo introdotti da aeroporti e compagnie aeree dopo l’11 settembre (scansione dei bagagli per mezzo della tac – la tomografia assiale computerizzata -, installazione di metal detector ultrasofisticati al check-in): stiamo parlando degli avveniristicisistemi biometrici, che prima di approdare negli aeroporti hanno trovato larga applicazione in campo militare. Ma in che cosa consiste la biometria? Si tratta di una scienza che considera il corpo un elemento infallibile di riconoscimento. E che ritiene che per identificare a colpo sicuro una persona sia sufficiente rilevarne alcune caratteristiche uniche, quali la forma del viso, la coda del Dna e, addirittura, la mappa delle vene del polso.
Tra gli strumenti attualmente più diffusi vi è il riconoscimento dell’iride, ormai in fase di test in numerosi scali europei, nonché in Giappone (presso l’Aeroporto Narita di Tokyo), Australia, Canada (in 11 scali) e America (ad esempio a Charlotte, nel North Carolina, e presso l’aeroporto Jfk di New York). E proprio gli Usa sono i principali sostenitori di questi nuovi strumenti, per i quali sono stati investiti, complessivamente, circa 3,8 miliardi di dollari. Il sistema si basa sul principio che ogni individuo ha un disegno dell’iride unico, che presenta 260 zone caratteristiche, contro le 80 del viso e le 20-40 delle impronte digitali. Dunque, fotografando l’iride dei passeggeri, è possibile realizzare un database, con cui sarà poi possibile confrontare le nuove immagini.
Una foto dell’iride
Ma in pratica come funziona il sistema? E’ semplice. Il viaggiatore guarda all’interno di un’apposita videocamera che scatta un’immagine perfetta in ogni dettaglio dell’iride. Poi la foto viene vagliata da un software di analisi che identifica le aree chiare e scure, la cui posizione è diversa per ogni persona. Così agli imbarchi successivi, quando il passeggero guarda nuovamente nella videocamera, l’iride viene automaticamente confrontata con l’immagine in memoria, verificando gli elementi caratteristici. Secondo gli esperti, le possibilità di errore sono praticamente nulle. John Daugman, professore all’Università di Cambridge e guru della biometria, ha dichiarato che l’eventualità che due persone abbiano la stessa iride è addirittura una su sette miliardi.
I test negli scali europei
In Europa, il primo ad avviare la sperimentazione (nell’autunno 2001) è stato l’aeroporto diSchipol, ad Amsterdam. Lo scalo ha anche lanciato il servizio Privium, aperto ai cittadini di 18 stati europei. Chi si iscrive riceve una card del costo di 119 euro con l’immagine digitale dell’iride. Un documento che sostituisce a tutti gli effetti il passaporto e che velocizza notevolmente le procedure di check-in. A maggio 2002 stata la volta di Heathrow, a Londra. In questo caso l’esperimento, a cui hanno preso parte l’Ufficio Immigrazione, British Airways, Virgin Atlantic e il British Tourism Authority, ha coinvolto 2000 frequent flyer volontari (comunque muniti anche del tradizionale passaporto). Ma anche in Italia sono presenti i sistemi biometrici: ad esempio, ne è dotato il nuovo terminal dell’Aeroporto Marco Polo di Venezia (inaugurato lo scorso anno).
Un mercato in crescita
A detta dei più accaniti sostenitori della biometria, il sistema di riconoscimento dell’iride è destinato a una sempre più rapida diffusione, nonostante attualmente i prezzi siano elevatissimi. Secondo l’International Biometric Group il giro d’affari di questo mercato si aggira intorno ai 4 miliardi di dollari, con previsioni di crescita annua del 50 per cento nei prossimi tre anni. Un trend che trova conferma anche in Borsa, dove le società di punta del ramo, come Identifix, Visionics Corps e Visage, negli ultimi mesi sono cresciute, in media, dell’80%.
Interrogativi e problemi
L’utilizzo di queste nuove tecnologie, però, non è del tutto privo di problemi. Innanzitutto, come era prevedibile, i sistemi biometrici suscitano la diffidenza dei passeggeri, soprattutto in Europa, e di fronte al boom di queste tecnologie numerose associazioni sono insorte denunciando la violazione della privacy. Il rischio che informazioni personali cadano in mani sbagliate, infatti, è elevato e ha indotto il Garante della privacy a richiedere l’adozione di rigorose cautele.
Vi sono poi problemi di natura squisitamente tecnica. Ogni scalo, infatti, adotta il proprio strumento di identificazione e non c’è alcuna uniformità dei sistemi. In numerosi aeroporti australiani e americani, ad esempio, sono stati installati software sofisticati per il riconoscimento della morfologia facciale (che analizza dati quali la distanza degli occhi, l’altezza degli zigomi, la posizione di naso e bocca), mentre a Tokyo sono presenti sia il riconoscimento facciale sia quello dell’iride. E nello scalo di Changi, a Singapore, vengono utilizzati software per la lettura delle impronte digitali. La standardizzazione di queste tecnologie è uno degli obiettivi principali di “S-Travel”, il più grande esperimento di utilizzo dei sistemi biometrici negli scali promosso lo scorso novembre dalla Ue e dal Governo Svizzero in collaborazione con la Iata (International air transport association) e la Sita, società che fornisce 11 differenti sistemi biometrici agli aeroporti di oltre 200 Paesi. Sul numero di marzo 2003 del mensile Business Travel World, Michel Saunier, manager della Sita, ha rivelato che a breve partirà una serie di test che si concluderanno nel 2004. Il primo coinvolgerà Alitalia, lo scalo di Milano Malpensa e l’Aeroporto Internazionale di Atene. E ha dichiarato che quando i sistemi verranno uniformati a livello globale i viaggiatori potranno utilizzare un’unica card con l’immagine digitale dell’iride, valida in tutto il mondo. Insomma, una sorta di passaporto, ma impossibile da falsificare. E a conferma di questa previsione, recentemente il governo inglese ha annunciato che entro un paio d’anni i nuovi passaporti dei cittadini britannici saranno dotati di microchip contenenti informazioni biometriche (impronte digitali e immagine dell’iride).