Il comparaggio è l’accordo illecito tra una casa farmaceutica e un professionista che prescrive medicinali in cambio di soldi o premi. E proprio per comparaggio e corruzione sono state recentemente indagate quasi quattromila persone che nel 2002 avrebbero procurato allo Stato un danno di oltre 200 milioni di euro: si tratta del caso Glaxo, un’inchiesta nata quasi per caso lo scorso mese di giugno da un’ordinaria verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza presso la ditta farmaceutica e che oggi si sta allargando ad altre aziende e a numerose regioni italiane.
L’immediata reazione del Governo è stata quella di accelerare i lavori per l’approvazione delle misure volte a contrastare gli illeciti nel settore sanitario e in particolare la conversione in legge del decreto legge 3 marzo 2003, n. 32 che prevede non solo multe salatissime nei casi di pubblicità ingannevole di farmaci o per le truffe condotte dagli stessi operatori a danno del Servizio sanitario nazionale, ma anche il rischio di essere radiati dall’Albo per i professionisti sanitari che effettuano prescrizioni non pertinenti alla patologia.
Farmindustria, l’organizzazione confindustriale che rappresenta le industrie farmaceutiche che operano in Italia, ritiene tale normativa ambigua e di difficile interpretazione e così, pur offendo la propria collaborazione al Governo per una revisione del testo di legge, ha invitato le oltre 200 aziende associate a sospendere dal 1° maggio ogni attività di informazione e formazione svolta tramite i congressi in attesa di norme chiare e definite.
Le reazioni alla presa di posizione di Farmindustria non si sono fatte attendere: lo stesso ministro Sirchia, ma anche gli organizzatori di congressi, hanno manifestato il proprio disappunto nei confronti di una decisione che rischia di pesare gravemente sul comparto.
D’altro canto si tratta solo dell’ultimo intervento del Governo che in qualche modo potrebbe avere delle ricadute sul settore dei congressi. Infatti nel 2002 la spesa delle case farmaceutiche per l’organizzazione di congressi all’estero aveva già subito un taglio del 50% rispetto al 2001(L.112/2002). Non solo: la Finanziaria 2003, oltre a limitare per il triennio 2004-2006 il numero di convegni finanziabili sia in Italia che all’estero nella misura massima del 50% rispetto a quelli realizzati nel 2003, stabilisce anche l’indeducibilità dei costi sostenuti dalle case farmaceutiche per l’acquisto di beni o servizi destinati agli operatori allo scopo di agevolare la diffusione di medicinali o di prodotti farmaceutici. Il nuovo giro di vite sulla deducibilità di queste spese si va a sommare a quello inserito nel collegato alla Finanziaria 2001.
I congressi dei medici italiani sono dunque “a rischio”. Il presidente di Italcongressi, Massimo Fabio, intervenendo a proposito del decreto taglia-farmaci, ha denunciato come l’annullamento di oltre 9.000 congressi medico-scientifici, oltre a determinare un notevole danno alle imprese del sistema congressuale italiano, darà un forte vantaggio ad altri Paesi dove non esistono tetti di finanziamento per la formazione professionale dei medici.
Il valore del mercato
Il sistema congressuale italiano, costituito da 3.000 imprese, muove un giro d’affari di circa 9 miliardi di euro e produce un enorme indotto economico; il vicepresidente di Italcongressi Emma Aru, durante la IV Conferenza nazionale dell’industria congressuale, svoltasi a Roma in marzo, ha sottolineato come le spese sostenute dal congressista all’esterno della sede costituiscano il 90% delle spese totali: di queste il 45% sono relative al viaggio e il 26% agli alberghi.
Ciò nonostante dall’analisi effettuata dall’Osservatorio congressuale italiano emerge come il comparto sia in difficoltà a causa della delicata situazione politica internazionale e della perdurante crisi economica. E se lo studio prevede un miglioramento per il secondo semestre dell’anno, è anche vero che i recenti provvedimenti governativi certamente non contribuiranno alla ripresa del comparto. Fino a che punto questi provvedimenti abbiano pesato sul crollo del fatturato dell’offerta congressuale delle località a forte vocazione turistica (- 53%) la ricerca non lo dice, ma il dubbio sorge spontaneo.
Anche a livello mondiale però la situazione non è entusiasmante. Secondo il rapporto annuale realizzato dall’Uia (Union of international associations) già nel 2001 c’era stato un declino dell’1,8% nel numero di meeting organizzati rispetto a quelli dell’anno precedente. E l’Italia, che pur gode di una quinta posizione dopo Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, nel 2001aveva ospitato 16 meeting internazionali in meno rispetto al 2000. Lo stesso rapporto, peraltro, sottolinea come anche Germania, Francia e Olanda abbiano riportato risultati in calo, pur rimanendo comunque l’Europa l’area nella quale vengono organizzati oltre il 57% degli eventi internazionali.
A fine marzo Federalberghi – Confturismo ha lanciato un allarme: in seguito allo scoppio della guerra in Iraq le multinazionali americane hanno bloccato lo svolgimento di meeting e congressi in Italia e nel mondo. «La componente statunitense – ha sottolineato il presidente di Federalberghi-Confturismo, Bernabò Bocca – copre circa il 10% del turismo congressuale italiano, con punte del 20% in alcune città quali Roma e Milano. Per capire il peso economico del turista statunitense in Italia va detto che nel 2000 le spese in Italia furono pari a 2,5 miliardi di euro, nel 2001 a 2 miliardi di euro e nel 2002 a 1,3 miliardi di euro».
In ogni caso non si dimentichi che nel secondo semestre del 2003 l’Italia presiederà il Consiglio dell’Unione europea e presumibilmente aumenteranno le presenze congressuali internazionali nel nostro Paese offrendo, in un settore in cui il livello di fidelity è molto elevato, un’ottima opportunità per gli organizzatori professionali di far conoscere all’estero le strutture del nostro Paese.
Le richieste degli operatori
A riprova che il settore congressuale è uno dei principali comparti economici del Paese, il ministero delle Attività produttive ha costituito un gruppo di ricerca incaricato di studiare i comportamenti di acquisto dei buyer nazionali e internazionali al fine di orientare meglio i futuri interventi di sostegno al settore. Si tratta di un’indagine, che forse diverrà periodica, realizzata attraverso dei questionari rivolti a un panel rappresentativo del mercato. La ricerca non è ancora stata ultimata, ma si hanno già delle indicazioni sulle priorità indicate dagli operatori.
Perché si realizza un congresso? Dai primi risultati emerge che la ragione prevalente nell’acquisto dei servizi congressuali è la necessità di ottimizzare la propria comunicazione o di presentare un nuovo prodotto (circa il 64%). Segue la motivazione formativa che però, pur generando un elevato numero di sessioni, si limita spesso a eventi molto contenuti dal punto di vista dei partecipanti, mentre l’obiettivo di stimolare e motivare le risorse umane sembra essere poco perseguito.
La scelta della destinazione Parlare oggi di destinazioni del mercato congressuale significa parlare di aree territoriali nel loro insieme; è ormai opinione condivisa che solo attraverso una profonda integrazione con le risorse del territorio il turismo congressuale può sviluppare tutte le sue potenzialità. Ciò significa che la competitività della destinazione si gioca sulla capacità di fare sistema e di lavorare in una logica di filiera in cui trasporti, alberghi, ristoranti, sedi congressuali siano coinvolti. La comprensione delle variabili che orientano le scelte del cliente congressuale è fondamentale per consentire agli operatori e all’intero sistema locale di agire in sintonia per dare risposte adeguate alla domanda. Dall’indagine emerge che l’accessibilità della destinazione è la variabile che pesa maggiormente nella scelta, soprattutto per i congressi nazionali o interregionali. Se la sede del congresso è facilmente raggiungibile è probabile che ci siano poche defezioni da parte dei congressisti che riescono a partecipare all’evento senza dover affrontare troppe difficoltà organizzative. Si tratta di un’indicazione di cui potranno tenere conto coloro che gestiscono le strutture: applicando i più elementari principi di geomarketing sarà possibile contattare una lista di possibili buyer possedendo, rispetto alle loro esigenze, un plus importante rispetto ad altri eventuali concorrenti. Il prestigio della destinazione, la qualità delle soluzioni ricettivo-congressuali presenti nell’area e la professionalità degli interlocutori hanno pesi analoghi tra le risposte date dagli intervistati.
E’ interessante notare come i costi, spesso considerati la variabile principale delle scelte, non appaiono invece come un elemento determinante, a dimostrazione del fatto che una domanda matura e professionale punta più sulla qualità delle soluzioni da acquistare che non al risparmio tout court.
La scelta della struttura congressuale
Tre voci si contendono il primato: la modularità degli spazi, i costi e la presenza di un management serio e preparato. Se le prime due voci sembrano piuttosto scontate, la terza sembra suggerire l’opportunità – per le imprese che gestiscono i poli congressuali – di investire nella formazione del proprio management dal quale può dipendere l’acquisizione di rilevanti quote di mercato.
La scelta dell’organizzatore
L’esperienza nel settore e l’<b e nei servizi offerti sono le due risposte che hanno ricevuto i maggiori punteggi. Pare di poter affermare che, rispetto ad alcuni anni fa, quando si ricorreva agli organizzatori di congressi solo per ragioni pratiche, oggi si preferiscano realtà in grado di gestire non solo l’evento in sé, ma anche la sua progettazione e organizzazione. Altri fattori che entrano in gioco sono, nell’ordine, la capacità di lavorare su tutto il territorio nazionale e la marcata specializzazione per segmento di mercato o tipologie di eventi.
Defiscalizzazione
Per quanto riguarda, invece, il giudizio degli operatori in materia di legislazione e di sostegno pubblico, l’intervento che darebbe il maggior impulso al comparto sarebbe la defiscalizzazione: due intervistati su tre vorrebbero sollecitare un intervento in materia fiscale che consentisse la detraibilità dell’Iva – così come avviene in molti paesi europei – e, secondo loro, farebbe aumentare fino al 30% la domanda di servizi congressuali. In secondo luogo auspicano interventi di sostegno alla formazione degli operatori e solo al terzo posto interventi sul sistema strutturale.
Tra le evidenze emerse con forza dai rappresentanti di imprese, enti e associazioni impegnati nel settore congressuale vi è la richiesta di maggiore attenzione, da parte dell’ente pubblico, alle istanze che provengono dagli operatori che, confrontandosi quotidianamente con il mercato, sarebbero in grado di segnalare al Governo le reali criticità del comparto.
Una forte critica riguarda poi gli investimenti: non tanto il loro volume, ma piuttosto la destinazione. Spesso l’ampiezza della gamma di offerta del prodotto turistico italiano ha comportato iniziative di promozione poco mirate; altri paesi, meno forti nella vocazione turistica leisure, hanno concentrato i propri sforzi e interventi nel macro segmento business – in particolare quello fieristico e congressuale – ottenendo così ottimi risultati.