Non vi è alcun dubbio che, sia in prospettiva presente che per il futuro, i maggiori tassi di crescita della domanda di trasporto aereo saranno sempre più localizzati nei mercati emergenti: in prima istanza Asia, America Latina e Middle East. Nello specifico, a guidare la dinamica del contesto asiatico è certamente l’esplosione della domanda di volato a partire dai subcontinenti indiano e cinese e dal bacino indonesiano: qui l’aumento del PIL pro capite sta positivamente impattando sulla domanda outgoing di natura turistica. A questo fattore si aggiunge l’aumento della movimentazione d’affari legato alla crescita impetuosa delle economie locali e la massificazione dell’esperienza di trasporto aereo a sempre maggiori strati della popolazione, anche in virtù di grandi distanze orografiche da coprire e all’assenza, in molti casi, di fattori competitivi (treno, strade) reali. Nessuna sorpresa, dunque, se gli appetiti di tutti i vettori internazionali, nonché dei costruttori di aeromobili, sono rivolti verso queste aree, di fronte, al contrario, alle ben più conservative dinamiche di sviluppo attese per il Nord America e l’Europa. In sostanza, il trionfo macroeconomico dei Paesi BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) rischia di tradursi nel paradigma di sviluppo dell’industria aerea per i prossimi decenni. Il tema reale di analisi, adottando la prospettiva dell’investitore, ma anche del travel manager, è quello di indagare se tale sviluppo sia autosostenibile in chiave finanziaria o, al contrario, sia strutturalmente effimero: in questo secondo caso, infatti, potrebbero registrarsi anche senza preavviso cancellazioni, riduzioni di offerta o veri e propri fallimenti di operatori locali.
Concentriamo in questo senso l’analisi più in dettaglio sul caso dell’India, promettendo un eguale processo d’indagine per il caso cinese nei prossimi numeri di questa rivista. In India i numeri registrati dal locale settore aereo sono ben più eloquenti delle parole: le aerolinee locali hanno trasportato nel 2011 61 milioni di passeggeri, con un incremento del 16,6% rispetto all’anno precedente. Comparando questo dato con la dimensione della popolazione del Paese, superiore a un miliardo di abitanti, è facile desumere come tale sentiero di crescita continuerà ancora per i prossimi anni, con la previsione di un inserimento in flotta di 370 nuovi velivoli da qui al 2017 per supportare la crescita della domanda ad opera degli attori locali.
Poche luci, molte ombre
Tutto perfetto, dunque? Non proprio, anzi, dal punto di vista finanziario si può definire il settore delle aerolinee indiane in uno stato vicino al default. I vettori locali sono già indebitati per oltre 7 miliardi di dollari con il sistema bancario nazionale: in queste condizioni, appare problematico pensare a un agevole finanziamento di un’ulteriore porzione di 2,5 miliardi di dollari di debito per l’acquisto del menzionato stock di nuovi aeromobili. Peraltro, la diffidenza del sistema bancario è legata anche alla percezione di parziale disimpegno che alcuni magnati privati del settore hanno recentemente dimostrato. Esemplare in questo senso è il caso di Kingfisher Airways, di proprietà del tycoon della birra Vijay Mallya (noto in Italia anche per il suo impegno in Formula 1 con la scuderia Force India). Il vettore giace ora in uno stato pre-fallimentare a causa di oltre 1,5 miliardi di dollari di debiti e 8,1 milioni di dollari di tasse non pagate e con l’azionista di riferimento apparentemente non propenso a ricapitalizzare. Del resto, fin dall’avvio delle operazioni nel 2005 Kingfisher non aveva mai registrato un profitto. Oltre un terzo della flotta residua del vettore, dopo i rimpatri forzati di molti aeromobili ai lessor, giace a terra in assenza di componenti di ricambio.
Solo un caso, quello di Kingfisher? Facile, alla luce dei dati di settore già sopra illustrati, ritenere che la situazione sia cupa molti altri attori. Oggi, infatti, In senso più lato, tutte le aerolinee indiane siano in forte perdita, a causa sostanzialmente della combinazione di cinque elementi: 1) una feroce guerra di prezzo tra gli attori legato alla sovracapacità produttiva sulle maggiori tratte del Paese, con l’abbattimento drammatico della redditività e l’esplosione di perdite in conto corrente e crescita dell’indebitamento; 2) alti costi operativi, a causa del sottodimensionamento drammatico delle infrastrutture aeroportuali e all’incidenza delle tasse sul carburante; 3) l’avvio delle operazioni low-cost in assenza di scali secondari sottoserviti e con capacità ricettiva, con la conseguenza di generare ulteriore pressione ribassista sulle tariffe e restrittiva sugli spazi aeroportuali esistenti; 4) la convinzione, proprio in virtù delle previsioni di forte crescita pluriennale, di poter postporre agli anni a venire le più gravi criticità sistemiche, tra cui certamente si annovera lo stato di dissesto del vettore statale Air India; 5) lo sviluppo di un’industria di linea non dotata di sufficiente capacità manutentiva (la cosiddetta Maintenance, Repair, Overhaul, MRO), che espone i vettori locali a costosi spostamenti geografici e a una più estesa improduttività degli aeromobili, con un evidente impatto sui costi.
In sostanza, si può dire che, in qualità di mercato emergente, l’India stia oggi ripercorrendo in toto tutti gli errori gestionali che hanno distrutto la profittabilità delle aerolinee nei mercati primari: una corsa alla conquista della maggiore quota di mercato in volume, pur a discapito dei margini; un’inesistente disciplina sulla capacità offerta; infine, una scarsa efficacia dell’industria nel complesso a promuovere, in prima istanza presso gli organismi statali, un cambiamento delle regole del gioco su criteri più razionali, superando la semplice ossessione per la deregolamentazione a favore di una crescita più sostenibile nel medio termine.
In questo quadro, si può intravvedere una luce in fondo al tunnel? Certamente l’apertura ad investimenti esteri nel capitale sociale delle aerolinee fino al 49% del flottante – ipotesi oggi in attesa di approvazione dal Gabinetto Federale – potrebbe contribuire in misura significativa al miglioramento dello star del credito per i vettori locali. Non si tratta della soluzione del problema di fondo, legato al basso valore d’impresa dei vettori; tuttavia, l’ingresso di operatori industriali stranieri, magari all’interno di un profondo processo di cooptazione in un sistema di alleanza, potrebbe certamente promuovere il tanto auspicato sviluppo delle componenti di ricavo. Ancora, l’abbattimento dell’imposizione fiscale sui carburanti potrebbe senza dubbio favorire un più ordinato controllo dei costi, data anche la spirale in costante crescita del prezzo del greggio e l’incidenza di tale voce sui costi totali per un valore oggi superiore al 40%. Infine, l’apertura dell’intero mercato indiano a un Accordo “Cieli Aperti” con la Ue potrebbe certamente stimolare una sana ed efficiente competizione. Del resto, basta chiedere conto oggi a Lufthansa delle restrizioni imposte dalle autorità indiane nei confronti dei servizi aerei con A380 dalla Germania verso i principali poli del subcontinente asiatico…
Testo di David Jarach, Mission n. 3, maggio 2012