Alcuni esempi di elusione ed evasione della travel policy compiuti dai cosiddetti “cow boy” aziendali, i dipendenti sprezzanti delle regole stabilite dalla policy. La relazione di Francesca Tommasi, di Mission, e di Francesco Sottosanti, di The Knowledge Team.
Fatta la regola, trovato l’inganno. Anche e soprattutto nell’ambito delle procedure di viaggio. «Succede spesso che le aziende – sostiene Francesca Tommasi, di Mission – si trovino ad affrontare il problema delle violazioni alle regole. In questo intervento esamineremo una serie di casi di trasgressione della procedura. Non ci soffermeremo su come è opportuno intervenire, ma è chiaro che, affinché una policy sia realmente efficace, l’azienda deve stabilire misure di carattere punitivo nei confronti dei trasgressori».
«Si tratta – aggiunge Francesco Sottosanti – di un tema estremamente delicato, che ben difficilmente può essere trattato con franchezza da aziende e agenzie. Per questo abbiamo deciso di parlarne noi, intitolandolo “Le avventure di Pinocchio” dal momento che, spesso, le trasgressioni si celano dietro a false dichiarazioni e piccole bugie».
«Prima di proseguire, però – afferma Francesca Tommasi – voglio sottolineare che sotto il nome di travel policy vengono “spacciati” documenti assai diversi per ampiezza e livello di approfondimento degli argomenti trattati. Si va da semplici promemoria generici a documenti di oltre 100 pagine. In questo campo, insomma, la distanza tra le best practice e le procedure adottate dalla media delle aziende è notevole».
«Il tema del nostro intervento – dichiara Sottosanti – sono però le malpractice, ovvero i comportamenti di quelli che, negli Usa, vengono soprannominati “cow boy”, viaggiatori sprezzanti delle regole, che rendono la gestione delle spese di viaggio un vero e proprio Far West».
Comportamenti contrari alla travel policy
Ma quali sono i comportamenti contrari alla travel policy? «Innanzitutto – spiega Tommasi – c’è l’elusione, ovvero, citando dal dizionario, “ogni atto tendente a eliminare o a ridurre il carico tributario mediante un comportamento giuridicamente lecito”. Si tratta, in sostanza, di un comportamento che, pur sfociando in una violazione ai principi della travel policy, non si configura come “illegale” a tutti gli effetti, in quanto sfrutta le pieghe interpretative della legge.
«Vediamone alcuni esempi, a cominciare dalle trasgressioni legate ai frequent flyer program. Può capitare che un dipendente inventi viaggi in più (non necessari) allo scopo di accumulare miglia sul proprio programma fedeltà. Oppure, se l’azienda si affida di solito a un altro vettore, il dipendente affermerà che gli operativi proposti dall’agenzia di viaggi non sono in grado di soddisfare le sue esigenze di lavoro e che solo il collegamento effettuato dalla compagnia di cui ha la card va bene.
«Oppure, allo scopo di viaggiare in business class anche se la travel policy impone ai dipendenti di viaggiare in economy, il viaggiatore può rimandare la prenotazione il più tardi possibile, in modo che siano disponibili solo posti in business».
«E non è finita qui – prosegue Sottosanti -. Vi sono dipendenti che, allo scopo di cambiare volo per viaggiare in business e accumulare più punti sul loro programma frequent flyer, chiedono ad arte il ritorno da un aeroporto diverso da quello di arrivo».
«Infine – aggiunge Tommasi -, supponiamo che la travel policy imponga dei limiti per quanto riguarda le categorie degli alberghi prenotati dai dipendenti. Il viaggiatore addurrà a pretesto il fatto che il cliente o il fornitore da incontrare è in un determinato hotel per riuscire a soggiornare in una struttura diversa da quella convenzionata.
L’evasione
«Il secondo tipo di comportamento – prosegue Tommasi – è l’evasione. In questo caso il dipendente escogita delle vere e proprie truffe ai danni dell’azienda, che possono, tra l’altro, mettere nei guai l’impresa in caso di ispezioni fiscali. Anche stavolta, gli esempi non mancano: il dipendente può farsi rimborsare il biglietto elettronico non volato due volte, dal vettore e dall’azienda. Oppure, può soggiornare gratuitamente nell’hotel di un parente o di un conoscente e richiedere ugualmente il rimborso all’azienda. O, ancora, nel caso la policy consenta di volare in business class, può acquistare un biglietto di questa classe di servizio per poi richiedere, d’accordo con la responsabile dell’agenzia di viaggi, di trasformare la business in economy e intascare la differenza sul prezzo del biglietto. Frequentissimo è anche il caso in cui il dipendente che utilizza la propria vettura “gonfia” il numero dei chilometri esposti per il rimborso. O, infine, dichiara di aver subito danni all’auto e chiede il rimborso alla sua società».