Concentrarsi sulle esigenze reali dei viaggiatori, come la qualità dei servizi, il comfort dei letti e la connessione Internet, rifuggendo le sirene delle mode contemporanee, ben simboleggiate dal proliferare di brand lifestyle e di design. È questa la ricetta di Choice Hotels per attirare la clientela business: un segmento di mercato tanto importante per la compagnia da garantire mediamente quasi l’80% del fatturato complessivo generato dagli hotel del Vecchio continente. «Se assicuri una camera confortevole, ottimi servizi e una connessione web adeguata soddisfi l’80% della domanda business», racconta il presidente e ceo della compagnia, Stephen Joyce. «E tutti i nostri hotel, per esempio, offrono sempre il wi-fi gratuito».
Poi certo esistono anche tendenze di lungo periodo. Ma più che di design contemporaneo, si parla qui di senso della destinazione: «È un’esigenza emersa una quindicina di anni fa, che oggi è diventata pressoché globale», aggiunge Joyce. «Chi si sposta in un’altra città preferisce quasi sempre alloggiare in strutture in grado di trasmettere almeno una parte del carattere del posto». Il modello Choice, basato sul rispetto di standard flessibili e presente in Europa con poco meno di 500 strutture distribuite nei brand Comfort, Quality, Ascend e Clarion, si prefigge di rispondere alla domanda di chi vuole vivere, anche solo per breve tempo, l’esperienza delle destinazioni in cui si reca.
Anche i nuovi viaggiatori, quelli che a livello internazionale vengono definiti i Millennial, ossia i nati tra gli anni Ottanta e l’inizio del nuovo Secolo, si preoccuperebbero, secondo Joyce, prima di tutto delle loro necessità più pratiche e immediate, piuttosto che del design di una struttura: «Tra le loro esigenze prioritarie, una ristorazione on demand, aree fitness aperte 24 ore e magari un menu di cuscini dalle caratteristiche differenti, per poter scegliere quello più adatto alle proprie abitudini».
Tutto ciò non vuol dire però che Choice non si curi delle nuove tendenze. Negli Usa, per esempio, il giovane brand CambriaSuites mira a soddisfare le richieste lifestyle proponendo agli ospiti ambienti comuni polifunzionali, dove è possibile socializzare, lavorare, tenere piccoli meeting e godere di un’offerta di ristorazione flessibile. «Attualmente abbiamo una ventina di queste strutture già attive tra Stati Uniti e Canada, e altrettante in pipeline. Ma prima di introdurre questo marchio in Europa attendiamo di raggiungere almeno quota 75», specifica Joyce. «Il problema, nel Vecchio continente, è che spesso mancano gli spazi adeguati a costruire questo tipo di strutture».
L’Europa è tuttavia al centro dei piani di espansione della compagnia. Lo dimostra, tra le altre cose, l’arrivo di tre nuove risorse sviluppo negli uffici centrali di Amsterdam, di cui una già attiva e le altre in fase di selezione e ricerca. Per attirare nuovi hotel, «possibilmente anche tramite la stipula di accordi multipli», Choice Hotels punta quindi a trasformarsi da mero gruppo di franchising con esclusivi compiti di distribuzione, a società in grado di offrire agli alberghi partner servizi tecnologici convenienti e all’avanguardia, come per esempio il property management system ChoiceAdvantage, che sfrutta tutte le potenzialità della nuvola (cloud), per garantire efficienze di scala in termini di costi e di standard operativi. Ma la compagnia è pure disposta, in determinate circostanze, a partecipare con capitali propri a progetti di investimento di terzi, fornendo quello che in gergo viene chiamato key-money, al fine di incentivare nuove costruzioni e conversioni di strutture esistenti, nonché concedere crediti ai propri franchisee, fornire agli stessi le garanzie utili ad accedere alla leva finanziaria e acquisire quote strategiche in piccoli gruppi alberghieri. Il tutto rimanendo però fedeli al proprio tradizionale modello asset-light che gode oggi di ottima salute, tanto che i primi sei mesi del 2014 hanno visto il margine operativo lordo (ebitda), generato dalle attività di franchising della compagnia, salire a quota 214,3 milioni di dollari (+5% rispetto allo stesso periodo del 2013).«Ma è soprattutto nel lungo periodo che la nostra compagnia si è rivelata profittevole», conclude Joyce. «Lo dimostrano i numeri relativi al periodo peggiore della recente crisi economica, quando i nostri utili sono scesi appena del 9%, mentre molti grandi gruppi internazionali sperimentavano tracolli del 70%-80%».
Testo di Massimiliano Sarti, Mission n.1, gennaio-febbraio 2015