Divorzio all’italiana

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L’estate 2012 verrà ricordata come uno dei momenti più bui per l’industria del trasporto aereo italiano. Dopo una trattativa durata sei mesi, l’operazione per l’acquisizione di Wind Jet da parte di Alitalia è naufragata con una guerra di comunicati al vetriolo tra le due compagnie. E in agosto, proprio nel periodo di maggior traffico di passeggeri, il fallimento della low cost. Da un giorno all’altro gli aerei della compagnia catanese sono rimasti a terra: nelle sue casse già tragicamente indebitate non c’era più liquidità per garantire l’ordinaria manutenzione degli apparecchi, l’acquisto di carburante, gli stipendi dei dipendenti. E gli italiani, leggendo i giornali in spiaggia, hanno preso familiarità con la parola “riprotezione”: Enac ha coordinato cinque compagnie, tra cui la stessa Alitalia, affinché organizzassero voli straordinari per tutti quei viaggiatori che erano in possesso di biglietti Wind Jet. Riprotezione che ha sollevato non poche polemiche: i passeggeri hanno infatti dovuto sborsare dagli 80 ai 300 euro a testa per riuscire ad arrivare a destinazione imbarcandosi su questi voli. Come è potuto verificarsi tutto questo? Ripercorriamo qui la storia di una trattativa che presenta ancora oggi molti aspetti oscuri.

Gli auspici di primavera
Era aprile quando Alitalia e Wind Jet avevano firmato l’accordo: il gruppo Alitalia acquisiva le attività della compagnia siciliana relative al trasporto passeggeri di linea. A operazione conclusa, Andrea Ragnetti, amministratore delegato di Alitalia, aveva commentato: «si aprono prospettive di grande rilevanza strategica per la compagnia, legate allo sviluppo di un’offerta low cost di qualità e di grande valore per il mercato italiano». Il grande valore per il mercato era soprattutto di natura economica: l’anno scorso, infatti, il vettore fondato nel 2003 dal patron del Catania Calcio Antonino Pulvirenti, aveva trasportato quasi 3 milioni di viaggiatori con i suoi 12 Airbus, assicurandosi una fetta di mercato domestico pari al 6,2% del totale.
Una vera boccata d’ossigeno per Alitalia che, nel primo trimestre dell’anno in corso, ha registrato una flessione di 43 milioni di euro rispetto allo stesso periodo del 2011, ottenendo un risultato netto di -131 milioni, con la conseguenza che al 31 marzo l’indebitamento finanziario netto ammontava a 962 milioni di euro. Questo nonostante i ricavi fossero aumentati del 13%, passando da 684 a 776 milioni di euro, e il volume dei passeggeri fosse rimasto sostanzialmente invariato, 4,8 milioni.
«Sulla carta era una mossa azzeccata – dice Andrea Giuricin, economista dell’Istituto Bruno Leoni -, perché Alitalia stava soffrendo da tempo la competizione delle compagnie low cost, che stanno crescendo sempre di più in Italia (easyJet su Milano Malpensa e Ryanair dappertutto). Nel mercato del trasporto aereo un soggetto può crescere ampliando il proprio parco velivoli, oppure effettuando acquisizioni esterne, come in questo caso. Una scelta intelligente perché in questo modo avrebbe rafforzato il proprio hub di Roma Fiumicino: avrebbe portato passeggeri dalla Sicilia per quelle rotte intercontinentali che sono anche le più remunerative». Anche se l’acquisizione non avrebbe risolto i problemi della compagnia di bandiera, soprattutto a livello europeo. «Con questa operazione Alitalia sarebbe arrivata a una quota di mercato del 25%, mentre Ryanair ha il 21% e easyJet il 10% – aggiunge infatti Giuricin -. Ma la situazione in ottica europea è più preoccupante: il primo operatore è Lufthansa con oltre 106 milioni di passeggeri nel 2011, grazie anche a tutte le innumerevoli acquisizioni che ha fatto. Al secondo posto c’è ormai Ryanair, che con 76 milioni di clienti ha superato il gruppo Air France-Klm, mentre la quarta è easyJet con 55 milioni di passeggeri. Alitalia ne ha molti di meno, nemmeno 30 milioni, ed è difficile rimanere concorrenziali rispetto a questi colossi dell’aria. Proprio per questo secondo me potrebbe presto essere necessaria una ricapitalizzazione della compagnia».

Le condizioni dell’Antitrust
L’acquisizione di Wind Jet ha presentato da subito un ulteriore problema: diventavano a rischio di quasi monopolio ben nove tratte, quelle in partenza da Palermo per Milano, Roma e Torino, e quelle da Catania  per Bologna, Milano Linate, Milano Malpensa, Pisa, Roma e Venezia. Gli aeroporti di queste città sono tutti, a eccezione di Bologna e Pisa, classificati da Enac come “aeroporti controllati”, cioè “in cui per atterrare o decollare, è necessario per un vettore aereo o altro operatore di aeromobili, aver ottenuto l’assegnazione di una banda oraria da parte di un coordinatore”. Si tratta di collegamenti che valgono oro. Dal Falcone e Borsellino transitano in media poco più di 4 milioni di passeggeri all’anno, mentre dall’aeroporto di Catania partono alla volta di Roma 1,7 milioni di passeggeri su 5 milioni complessivi: soltanto questa linea vale oltre 170 milioni di euro all’anno.

E infatti lo scorso 7 giugno l’Antitrust ha avviato un’istruttoria per verificare se l’operazione di Alitalia“fosse in grado di eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza”. Il Garante dell’Autorità di vigilanza ha sciolto il riserbo il 18 luglio: per le quattro stagioni Iata successive all’estate 2012, Alitalia avrebbe dovuto rinunciare a cinque coppie di slot gestite da Wind Jet.  Non sarebbe stata la prima volta che Alitalia si ritrovava a fare i conti con l’organo che vigila sulla concorrenza. «L’obiettivo dell’Antitrust – spiega Andrea Giuricin – è verificare se ci sono le condizioni perché si possa creare un abuso di posizione dominante, che significa che un soggetto alza le tariffe perché è diventato un monopolista. Comunque quando si supera il 60% della quota di mercato si viene costretti a vendere degli slot. In questo senso l’Antitrust ha stabilito che nel 2008 la compagnia di bandiera, grazie al decreto “salva Alitalia” del governo Berlusconi, con l’acquisizione di AirOne ha creato una situazione di monopolio sulla rotta Milano Linate – Roma Fiumicino. Un abuso che ancora persiste e che dovrà essere rimosso entro il 28 ottobre prossimo, anche perché il decreto, che aveva validità triennale, è ormai scaduto. Una situazione che si sarebbe ripresentata nel caso dell’acquisizione di Wind Jet, specie sui voli diretti a Roma. A Catania, infatti, sarebbe rimasta soltanto Blue Panorama a fare concorrenza ad Alitalia, con l’aggiunta di easyJet a Punta Raisi».  L’agosto nero
Il 10 agosto Alitalia sancisce definitivamente il fallimento dell’operazione, accusando Wind Jet di non aver rispettato le condizioni sottoscritte. Sostanzialmente, hanno dichiarato i vertici della compagnia di bandiera, nell’arco di tutta la trattativa Wind Jet non ha mai fatto chiarezza sui propri conti e, soprattutto, sui debiti, “conferendo così all’operazione un profilo di rischio assolutamente imprevedibile e inaccettabile nell’ottica di una gestione seria e responsabile”. In particolare, già al 29 giugno, la società catanese non aveva ancora fornito la maggior parte della documentazione patrimoniale e bilancistica, sull’indebitamento e sui rapporti con le società proprietarie degli aeromobili. Ma come è possibile che un negoziato si protragga per mesi senza che un gruppo industriale come Alitalia fosse al corrente del reale bilancio della compagnia da acquisire? «Da quel che si evince – dice Andrea Giuricin – da subito Wind Jet ha realmente rallentato la trasmissione di tutta la documentazione. E proprio allora l’Enac avrebbe dovuto intervenire, fin dall’inizio. Già da marzo, infatti, si era capito che la situazione del gruppo di Pulvirenti era molto critica. Se qualcosa poteva essere fatto doveva essere fatto prima, e proprio dall’Enac, che in questo ha delle responsabilità ben precise. Sia per proteggere con anticipo chi aveva acquistato dei voli della low cost, sia per scongiurare il fallimento della compagnia e della stessa trattativa. Probabilmente nel negoziato sarebbe potuto subentrare qualche altro attore, magari anche qualche gruppo straniero. Invece così tutti sono rimasti a guardare». Insomma, l’operazione stava diventando una vera e propria acquisizione a scatola chiusa. Tanto che il 7 agosto Alitalia aveva accettato di assumersi maggiori rischi a fronte di maggiori garanzie bancarie. Inutilmente, visto che dopo appena due giorni da Catania facevano sapere che non potevano adempiere nemmeno alla certificazione della propria flotta. Un’assenza di copertura che Alitalia avrebbe quantificato in un costo di 20 milioni di euro da sostenere al termine della revisione dei motori e al momento della restituzione degli aerei a fine leasing. Nel comunicare il definitivo tracollo dell’operazione, i vertici di Alitalia hanno inoltre dichiarato di essere venuti a conoscenza del fatto che Wind Jet non era proprietaria degli slot in cui operava sulla tratta Catania-Linate, proprio tra quelle contestate dall’Antitrust. «La decisione dell’Antitrust – dice Giuricin – era ovvia e, molto probabilmente, ha pesantemente segnato anch’essa la trattativa in corso».

Quale futuro?
Nonostante Antonino Pulvirenti abbia continuato a spendere centinaia di migliaia di euro nella campagna acquisti estiva di giocatori per il suo Catania Calcio, i 500 dipendenti siciliani di Wind Jet sono rimasti senza lavoro. Ai primi di settembre una cordata di professionisti e imprenditori siciliani si è dimostrata seriamente intenzionata a rilevare parte della compagnia. Il gruppo di volenterosi ha elaborato un piano di salvataggio, curato dallo studio del commercialista palermitano Salvo Tripoli. Il piano si baserebbe su “una soluzione-ponte” utile ad assicurare la “continuità aziendale”: l’affitto per stralcio dell’azienda alla società che verrà creata dai componenti della cordata. Della cordata fanno parte, tra gli altri, un noto imprenditore della Sicilia orientale che opera nel settore della grande distribuzione agroalimentare e alcuni tecnici, come l’ingegnere aeronautico Francesco Surace, ex dipendente Windjet, e Roberto Corrao, medico, specialista in medicina aeronautica e titolare della Aviomed, impresa specializzata nel trasporto aereo di pazienti infermi. L’iniziativa, però, non ha ancora ottenuto alcuna risposta da Pulvirenti. «Una soluzione – conclude Giuricin – potrebbe essere che la compagnia vada in amministrazione controllata con la Prodi bis, come è accaduto per Parmalat, tagliando tutte le rotte che non risultano produttive. Ma questo dipenderà dalla capacità di spesa dei singoli imprenditori e dall’andamento del mercato».

 

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