Aeroporti regionali: tra luci e ombre

Gli aeroporti italiani hanno vissuto un 2011 all’insegna della crescita. Stando a quanto riportato da Assaeroporti, infatti, lo scorso anno il settore ha registrato un incremento del 6,4% rispetto all’anno precedente, ovvero un totale di 9 milioni di passeggeri e oltre un milione e mezzo di movimenti in più. Questo nonostante la forte crisi economica e politica che ha coinvolto anche l’Italia a partire dagli ultimi mesi dell’anno, insieme all’instabilità del Nord Africa che ha causato una flessione del traffico aereo (e addirittura la chiusura al traffico civile in un aeroporto, quello di Trapani). La crescita più contenuta (+3% ha riguardato) i grandi scali intercontinentali con un transito annuo di oltre 10 milioni di passeggeri, mentre gli scali medi e piccoli hanno segnato un +10,6% (traffico tra 5 e 10 milioni di passeggeri), +6,5% (tra 1 e 5 milioni), +9,6% (meno di un milione di passeggeri). Osservando in dettaglio i dati dei singoli scali, spicca il +66,5% di Rimini, il +54,9% di Perugia, il +28,1% di Brindisi, il +11,3% Pisa. Anno d’oro anche per l’aeroporto di Ancona, che chiude il 2011 con il suo record di traffico; più di 610mila passeggeri, con un incremento del 17,3% rispetto al 2010 e il progetto di nuove rotte per il 2012, come Catania, Olbia, Stoccolma e Mosca. Ma quale ruolo giocano queste aerostazioni nel trasporto aereo nazionale? E quali fattori incidono sulle loro performance?

Low cost, high risk
Il fattore principale che negli ultimi anni ha influito sulla crescita degli aeroporti regionali è stato il progressivo ampliamento delle attività delle compagnie low cost. Uno dei cardini strategici di questa tipologia di vettori, infatti, è ottenere sempre nuove basi operative a prezzi molto bassi. Tanto per fare un esempio, Wizz Air conta attualmente in Italia 13 basi operative, easyJet 11 e Ryanair sette. La scelta si orienta prevalentemente sugli aeroporti secondari,  disposti a offrire alle no frills numerose agevolazioni pur di aumentare rapidamente il proprio volume di traffico. Quando questi matrimoni vanno in crisi, però, magari perché una rotta non profittevole viene chiusa, incominciano i guai.
«Questa dinamica, infatti, è un’arma a doppio taglio – sottolinea Oliviero Baccelli, vicedirettore del CERTeT, Centro di Economia Regionale, dei Trasporti e del Turismo dell’Università Bocconi di Milano -: da una parte gli scali ottengono l’auspicato aumento dei passeggeri, dall’altra possono ritrovarsi in una situazione di debolezza se il traffico è troppo dipendente dalle rotte low cost. È il caso dell’aeroporto di Brescia “abbandonato” da Ryanair (-79,5% nel 2011, ndr) o di quello di Forlì, che ha dovuto rinunciare ai collegamenti di  Ryanair e Wind Jet (-46%, ndr)».
Vi sono però anche esempi di scali che hanno saputo sfruttare la spinta iniziale fornita dalle compagnie a basso costo per crescere in maniera solida. «Un caso esemplare è quello di Bergamo Orio al Serio (+6,8% nel 20111, ndr) – continua Baccelli –, oggi quarto aeroporto in Italia. È partito come struttura regionale, con una forte presenza di vettori low cost, per poi crescere e attivare sempre più rotte con compagnie tradizionali. In questo caso si è formato un circolo virtuoso, con la creazione di prime masse critiche generate dalle no frills che hanno permesso la graduale crescita dell’aeroporto».

Salvataggio pubblico
Far quadrare i bilanci per le società di gestione degli scali regionali non è sempre impresa facile. È quanto emerge dai dati della relazione di fine 2011 del professor Attilio Mucelli della Facoltà di Economia “Giorgio Fuà” di Ancona, dal titolo Redditività e solidità finanziaria degli aeroporti regionali (prodotta in occasione del convegno “Gli aeroporti regionali in Italia: situazione attuale e prospettive di sviluppo” del Dipartimento degli Studi Giuridici ed Economici dell’Università di Macerata). Lo studio ha preso in esame le performance di quattro società di gestione in un periodo di cinque anni, dal 2005 al 2010: Aerdorica di Ancona, Sase di Perugia, Saga di Pescara e Aeradria di Rimini. Da un’analisi approfondita dei redditi e contributi, della composizione del capitale sociale, dell’indice di liquidità, del rapporto di indebitamento a lungo e breve termine, risulta chiaro come senza un intervento finanziario pubblico i bilanci delle quattro società campione sarebbero fortemente compromessi. Tra gli interventi indicati come necessari per dare una spinta agli scali , lo studio indica la ricapitalizzazione delle società di gestione, insieme alla valutazione di investimenti non aeronautici, alla creazione di una rete con gli aeroporti limitrofi (per diminuire i costi fissi) e il coinvolgimento importante delle associazioni di categoria del settore turistico locale.

Incoming territoriale
Infatti il coinvolgimento del settore turistico, e del territorio, è in molti casi la carta vincente. Da un’analisi effettuata da Garda Aeroporti (società di gestione degli scali di Verona e Brescia) sui 30 principali aeroporti italiani, emerge come un aeroporto possa fungere da volano dell’economia locale: l’indotto di ciascun passeggero trasportato dagli aeroporti di Verona o Brescia va dai 120 ai 370 euro; nell’ultima settimana di gennaio 2012 il 56% dell’utenza straniera in partenza ha dichiarato di aver speso trai 100 e i 300 euro solo per dormire, mentre la spesa media complessiva (vitto, alloggio, trasporti) si è attestata intorno ai 420 euro. L’aeroporto di Verona, tra l’altro, è un esempio interessante di scalo in crescita (+12%). A determinarne il successo, l’ingresso a fine 2010 di Ryanair – e subito dopo di airberlin, easyJet, Wizz Air –, il rafforzarsi dei vettori di lineatradizionali (che coprono il 54,39% del traffico, contro il 20,23% del low cost e il 20,23% di voli charter), l’incremento di nuove rotte, la diversificazione del prodotto e un’importante campagna di marketing turistico fortificata dalle alleanze con il territorio. Ricordiamo che l’area veronese è competitiva sia come distretto turistico sia come zona di business (Verona è la seconda città italiana per presenza di multinazionali). Non è un caso che nel 57% dei casi il passeggero si fermi per uno short-break da 3 a 5 giorni e che di tutto il traffico solo il 38,5% viaggi per turismo.
La vicinanza a mercati turistici interessanti e la sinergia con il territorio ha sospinto anche la crescita dello scalo di Perugia (+54,9%) che ha colto l’opportunità di aprire l’Umbria all’incoming. Ma tra gli aeroporti che lo scorso anno hanno registrato la crescita maggiore, grazie soprattutto allo stretto legame con il distretto turistico locale, spiccano l’aeroporto di Rimini per gli scali fino a 1 milione di passeggeri e Pisa per quelli tra 1 e 5 milioni.

Modello romagnolo
Certo, il Federico Fellini di Rimini ha in qualche modo “goduto” della profonda crisi dell’aeroporto di Forlì, ma la sua crescita è da attribuire anche ad altri fattori. «Lo sviluppo è stato graduale – spiega Massimo Masini, presidente di Aeradria SpA – e dopo un periodo di crisi l’aeroporto è stato ricollocato, non più come forza autonoma ma come infrastruttura a supporto dell’economia locale e a una realtà di attrattiva turistica molto importante. La collaborazione con la società Riviera di Rimini Promotion è fortemente operativa e si appoggia a una struttura distributiva molto capace, la RiminiGo.com». L’aeroporto Fellini ha scelto di mettere a punto la programmazione dei voli in concerto con i tour operator. «Essendo in un territorio che fa parte dei due o tre punti di concentrazione turistica europea, è ovvio che il traffico incoming è decisamente maggiore rispetto a quello generato dal bacino locale – continua Masini –, ma ora che siamo cresciuti vorremmo rafforzare anche il traffico outgoing, in particolare verso la Grecia e l’Egitto, e quello business». Punto di forza dello scalo romagnolo è il traffico in arrivo dalla Russia: rappresenta il 40% di tutto l’incoming e lo scorso anno è cresciuto del 54,72% rispetto al 2010. Segue il volume di passeggeri in arrivo a Rimini in occasione di fiere e i congressi «soprattutto grazie al nostro collegamento giornaliero su Roma, che vorremmo ulteriormente rafforzare. Ma il nostro obiettivo ora è destagionalizzare il nostro traffico, che ovviamente ha il picco nella stagione estiva, e stabilizzare un volo di linea tradizionale su un grande hub europeo, come Parigi o Monaco, che serva anche il traffico business per il quale abbiamo aperto da ottobre una sala Vip con servizi di alto livello».

Volare smart
Tra gli aeroporti di media portata, spicca il Galileo Galilei di Pisa: +11,3% di crescita effettiva, non influenzata da elementi esogeni o contingenze particolari (a differenza dello scalo di Palermo, +14,3% e di Verona, +12% che però hanno “approfittato” delle crisi dei vicini Trapani e Brescia). «Il nostro è il principale aeroporto della Toscana – chiarisce Gina Giani, amministratore delegato e direttore generale di SAT SpA – e solo uno su quattro dei nostri passeggeri vive in Toscana. In un momento di stagnazione economica come questo, avere una maggioranza di traffico incoming ci facilita. Abbiamo diversificato molto i flussi di traffico, con 78 destinazioni, e puntato su differenti mercati. Ma tra le prime ragioni della nostra crescita c’è l’apertura della seconda base italiana di Airone che ha dato più stabilità al nostro traffico, insieme all’incremento di aeromobili da parte di Ryanair, per la quale siamo la seconda base italiana».
Sullo scalo di Pisa operano 11 compagnie low cost europee, che si affiancano a otto vettori di linea.
Il Galilei serve anche il traffico business locale, che in tempi di contenimento di costi sceglie di volare se non proprio low cost, almeno smart. Utilizzando gli “smart carriers”, ovvero le aerolinee low cost di proprietà delle compagnie tradizionali: un esempio sono Germanwings (Lufthansa), Transavia (KLM e Air France) e Vueling (Iberia).

«Un passeggero spende il 30% del proprio budget dove atterra o dove parte – continua Giani –. Se arriva a Pisa ha sicuramente prenotato un hotel o un B&B, crea un indotto locale e delle ricadute economiche che nel 2011 sono state di oltre un miliardo di euro e circa 6mila posti di lavoro. Per il 2012 puntiamo a consolidare i risultati record dell’anno passato, con altre 8 o 9 rotte a partire da fine marzo. In più grandi lavori di ristrutturazione porteranno entro il 2015 l’aeroporto di Pisa a disporre di due piste rinnovate, di cui una portata alla categoria superiore in linea con quelle di Fiumicino; un ampliamento del 60% degli spazi passeggeri per servire comodamente quasi 6 milioni di traffico e il miglioramento funzionale del collegamento tra l’aeroporto e la stazione ferroviaria di Pisa con un People Mover automatico». Un piano di sviluppo da realizzare in autofinanziamento: «l’aeroporto di Pisa ha 55% di azionisti pubblici e 45% di privati. Dal 1994 lavoriamo in ottica di azienda privata, con un modello di business semplice che ottiene margini esigui dal settore air  e più consistenti dai servizi connessi, come i parcheggi e la ristorazione, attività con cui finanziamo gli sviluppi dello scalo. Paghiamo i dividendi ai soci dal 1998 e gli utili netti quest’anno hanno registrato un aumento del 23%».

E nel futuro?

« Nel 2012 il tasso di crescita de gli aeroporti regionali sarà contenuto, sia perché il tasso di penetrazione dei vettori low cost è ormai quasi giunto a saturazione, sia per la contingenza economica non positiva – prevede Baccelli -. Non ci saranno grandi exploit, ma una crescita graduale». Il mercato dell’Alta Velocità ferroviaria, tra l’altro, non rappresenta una minaccia: «Ci sarà una piccola guerra di prezzi, con l’arrivo di Italo, della Ntv, ma fino a che non ci saranno grossi interventi strutturali sul nodo Bologna e sul nodo Firenze non ci sarà competizione tra treno e aereo».

Testo di Maria Elena Arcangeletti, Mission n. 2, marzo-aprile 2012

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