Le fee dei fornitori di servizi di viaggio, queste sconosciute. Almeno, sino a oggi. I consumatori di tutto il mondo, infatti, stanno progressivamente acquisendo forza e consapevolezza, attivando le proprie lobby di riferimento, per esigere chiarezza e regolamentazioni sul fronte dei costi dei biglietti aerei acquistati sul web, direttamente dai siti delle compagnie aeree o da quelli delle agenzie di viaggi online. E a metà maggio, grazie alle segnalazioni ricevute proprio dalle associazioni dei consumatori, l’Antitrust italiano ha sanzionato Alitalia, Blu-express, Germanwings e Air Italy (ma altre tre compagnie europee sono sotto osservazione) con una multa complessiva di 285mila euro per la poca chiarezza nelle modalità di presentazione e offerta del prezzo del biglietto: a fine prenotazione, infatti, venivano addebitate agli utenti le commissioni per il pagamento effettuato con la carta di credito ma, in base al Codice del Consumo, è stata ritenuta scorretta la separata applicazione, nonché la mancata o incompleta informazione in merito al supplemento della carta di credito rispetto al prezzo del volo che, chiaramente, lievitava in misura consistente rispetto a quello pubblicizzato o scelto fra le offerte tariffarie. E se è vero che le compagnie aeree devono sostenere i costi effettivi dei circuiti come, per esempio, Visa e Mastercard, è altrettanto vero che il supplemento veniva calcolato in misura superiore rappresentando, quindi, una fonte di ricavo. E non finisce qui. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha anche giudicato scorretta la scelta, effettuata da Alitalia e Germanwings, di pubblicare sul web solo in lingua inglese le condizioni tariffarie o le condizioni generali di trasporto che il consumatore deve necessariamente accettare per perfezionare l’acquisto.
Antitrust in azione
A oggi, per la cronaca, solo una compagnia aerea ha diramato una comunicazione ufficiale di risposta. È Blue Panorama Airlines che ha annunciato il ricorso al Tar del Lazio contro il provvedimento emesso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. La compagnia, infatti, sostiene che il sito www.blu-express.com “offre ai consumatori la possibilità di accedere a uno strumento di pagamento a titolo gratuito, in relazione al quale, dunque, non viene applicata alcuna commissione” e ricorda che le spese di gestione amministrativa sono messe in evidenza nella home page, oltre a essere tra le più basse di Europa. Ma l’attenzione dell’Antitrust non si è concentrata solo sulle compagnie aeree e il Garante sembra aver iniziato una vera e propria battaglia contro il mal costume degli importi non trasparenti, forte anche della crescente diffusione in Italia del web come strumento per prenotare servizi turistici. Secondo una ricerca Astoi-Demoskopea, infatti, non solo il 43% dei nostri connazionali prenota i propri viaggi su Internet, ma sono i biglietti aerei il bene più acquistato, attestandosi all’83%. Non stupisce, allora, che anche le agenzie online siano sotto osservazione tanto che, a marzo, l’Antitrust ha multato Expedia, eDreams e Opodo per 415mila euro complessivi (nel dettaglio: Expedia Inc. 210mila euro, Expedia Italy 45mila euro, eDreams 135mila euro e Opodo Italia 25mila euro). In merito alla vicenda, le reazioni del mondo delle agenzie di viaggio “tradizionali” non potevano che essere positive, come confermano le parole di Amalio Guerra, presidente di Assoviaggi-Confesercenti: «Il provvedimento dell’Antitrust ha colpito il finto “low cost”, ponendo in evidenza una situazione problematica e imbarazzante da lungo tempo. Internet è uno strumento fondamentale anche per il settore turistico, ma va usato correttamente e da chi è in grado di fornire le garanzie necessarie».
Ribellione europea
Ma il vento della rivolta contro le fee nascoste non ha confini. In Inghilterra, per esempio, l’associazione di consumatori Which? pochi mesi fa ha sottoposto alla Comunità Europea un reclamo formale contro gli abusi e gli onorari di addebito della carta di credito da parte di alcuni vettori low cost. Sempre all’ombra della Union Jack, easyJet e Ryanair sono finite sotto le forche caudine dell’Advertising Standard Authority per pubblicità ingannevole. In Spagna, l’Agenzia Catalana del Consumo (Acc) ha sanzionato le compagnie aeree Ryanair, Vueling, Transavia, easyJet e Clickair per aver violato i diritti dei consumatori. Da un comunicato della Generalitat (nome con cui viene indicato il sistema amministrativo-istituzionale per il governo autonomo della Catalogna) si apprende che la somma totale delle multe a discapito delle compagnie si aggira sui 149mila euro dovuti per l’immissione di clausole abusive nei contratti, la vendita a prezzi superiori rispetto a quelli annunciati e la riscossione di sovrapprezzi sul bagaglio e sulla forma di pagamento attraverso carte di credito. Entrando nel dettaglio, Vueling e Clickair sono state sanzionate al pagamento rispettivamente di 40mila e 56.400 euro per pratiche considerate abusive, come tenere attiva per difetto la casella di contrattazione dell’assicurazione di viaggio. La compagnia irlandese Ryanair è stata invece multata con 31.500 euro per la riscossione di un sovrapprezzo sul pagamento con carta di credito e per la vendita dei biglietti a un prezzo maggiore rispetto a quello annunciato, mentre easyJet e Transavia pagheranno alla Generalitat rispettivamente 17.800 e 4mila euro
Risposta Usa
Ma è negli Stati Uniti che ci si è mossi con maggior decisione su questo fronte, e non poteva essere altrimenti visto che, nel 2010, i vettori a stelle e strisce hanno incassato in ancillary fee ben 9,2 miliardi di dollari, pari al 5% dei ricavi dell’industria stimati in circa 22 miliardi. Secondo un’indagine svolta da Consumer Travel Alliance (associazione dei consumatori) tra 500 frequent traveller, la priorità dei passeggeri è quella di conoscere con chiarezza, prima di prenotare, l’esatto ammontare di tutte le fee. Non solo: Consumer Report ha condotto una survey coinvolgendo 15mila viaggiatori che, negli ultimi 12 mesi, hanno effettuato oltre 29mila voli domestici negli Usa. Stando al risultato diffuso a maggio, il 40% degli intervistati ha dichiarato di volare meno nell’ultimo periodo. La causa principale? La proliferazione delle tasse “nascoste”. E, alla fine, qualcosa si è mosso. Ad aprile, infatti, il Dot (Department of Transportation americano) ha annunciato per la fine di agosto l’entrata in vigore di nuove regole di protezione dalle hidden fee, per i servizi extra connessi all’acquisto di un volo, non adeguatamente pubblicizzate dai vettori aerei. Per la precisione, il Dot non pone né limiti all’importo delle fee, né schemi per la loro presentazione al pubblico, ma pretende chiarezza nella pubblicità e sui siti e avrebbe allo studio uno sviluppo ulteriore del regolamento per imporre la pubblicazione trasparente delle fee non solo sui siti dei vettori, ma anche in tutti i loro punti vendita. La nuova normativa, inoltre, vieta le attese in pista a bordo degli aerei superiori alle quattro ore anche per i voli internazionali, impone alle compagnie il rimborso delle fee incassate per i bagagli che vanno smarriti, e porta da 800 a 1300 dollari l’indennizzo massimo previsto per i passeggeri eventualmente scaricati dai voli. «Sono regole di semplice buonsenso, per ottenere la certezza che i viaggiatori siano trattati con il rispetto al quale hanno diritto», ha commentato il ministro dei trasporti Ray LaHood. E la mossa del Dot ha riscosso consensi unanimi da parte sia di Global Business Travel Association sia dell’associazione Btc, Business Travel Coalition. Quest’ultima, e da tempo, sottolinea come le ancillary fee siano un tasto dolente per i travel manager. E sotto più aspetti: da una parte, infatti, le aziende non possono effettuare una reale comparazione dei costi per individuare poi il fornitore con cui negoziare sulla base di dati certi. Dall’altra, a causa dei costi nascosti, i viaggiatori possono avere l’opportunità di spendere denaro al di fuori dei parametri della travel policy. Non solo: i travel manager faticano a identificare ciò che è stato acquistato perché la maggior parte compagnie aeree non forniscono dettagli sul pagamento. Il risultato? Gli addebiti da parte di una compagnia aerea su una nota spese aziendale non permettono al manager di scoprire il servizio a cui corrisponde l’importo. E non va dimenticato che, parlando di fee, non ci sono mai certezze: un viaggiatore che paga una determinata cifra per imbarcare il primo bagaglio in un volo rischia di pagare un prezzo diverso la volta seguente, e per la stessa rotta con la medesima compagnia. L’augurio? Maggiore trasparenza, maggiore sensibilità da parte degli organismi di controllo: per spendere, volare e lavorare meglio.
Testo di Simona Parini, Mission n. 4, giugno-luglio 2011