Il livello di attenzione e di sensibilità verso la car policy all’interno delle imprese riflette l’importanza della flotta sia in termini aziendali, sia in termini personali: considerazioni di natura economica e professionale, ma anche emozionale, si mescolano a tutti i livelli, venendo a costituire un substrato di idee, concetti e conflitti che talvolta assomiglia a un magma instabile e irrequieto, che si manifesta, quando gli obiettivi non sono ben chiari e la comunicazione non è opportunamente strutturata, nella richiesta continua di avere sempre di più.
Qual è il ruolo che il top management gioca, o può giocare, nell’indirizzare le tendenze, le richieste, le emozioni e le “pretese” dei driver? E quanto conta effettivamente quest’azione all’interno dei processi di gestione della flotta auto? La capacità di guidare le proprie persone non solo tramite l’autorità e sulla base delle policy, ma anche attraverso la propria autorevolezza e, soprattutto, attraverso l ’esempio , è una delle doti più importanti di un buon leader. Per sfruttare in maniera efficace la sua influenza, il leader deve aver preventivamente sviluppato un piano coerente di obiettivi in relazione alla gestione delle sue risorse umane e al loro sviluppo: decidere su quali “valori” aziendali, etici e professionali puntare e come trasmetterli alle persone attraverso un esercizio di gruppo coerente ed efficace.
In quante aziende i leader, ovvero i top manager, hanno effettivamente costruito un quadro chiaro di obiettivi in funzione della gestione della flotta? Sono essi in grado di rispondere a queste domande: perchè abbiamo o dovremmo avere una flotta auto? Quali bisogni aziendali primari e secondari soddisfa? Quale è la “mission” della gestione della flotta e quali strategie dovrebbero essere sviluppate conseguentemente?
Diverse aziende all’avanguardia nell’utilizzare la flotta sia come strumento aziendale in grado di creare un vantaggio competitivo (sul “mercato del lavoro”), sia come benefit per aumentare la soddisfazione dei dipendenti, hanno ben chiari questi concetti, ma la maggior parte di esse tende a non considerare questa fase essenziale di analisi strategica, passando direttamente e pragmaticamente all’azione. Invece di riflettere sui bisogni, ci si focalizza sull’utilizzo attuale e futuro dei mezzi; invece di sviluppare una strategia coerente ci si accapiglia sul confronto con i concorrenti e, infine, non si consolida un approccio di gestione e comunicazione del “benefit auto” inquadrato in una policy adeguatamente strutturata, ma si discute su chi abbia diritto a che cosa.
L’azione del top management nel guidare questo processo è assolutamente essenziale, ma spesso i leader sono essi stessi vittime del desiderio di ottenere il massimo per se stessi, senza tener conto dei possibili effetti che questo atteggiamento può generare sul resto dell’organizzazione. Ecco un paio di esempi che possono ben rappresentare questo concetto:
– un amministratore delegato fresco di nomina decide di mantenere fino alla scadenza contrattuale del noleggio la sua auto attuale, nonostante sia di livello inferiore a quella spettante al suo nuovo ruolo, nel desiderio di rispettare la car policy che prevede questa regola in caso di promozione;
– durante la fase di studio di una nuova car policy che preveda il “downsizing” delle motorizzazioni per ridurre le emissioni di CO2, alcuni importanti componenti del leadership team responsabile per l’approvazione della nuova policy, chiedono al noleggiatore di chiudere anticipatamente i contratti di noleggio delle loro attuali vetture e, contemporaneamente, ordinano nuove vetture ad alta emissione (per esempio dei costosi Suv) con un contratto di noleggio di 48 mesi.
Appare evidente come, nel primo caso, l’azione del leader per imporre e far rispettare una policy sia adeguatamente supportata dal suo esempio e come l’impatto motivazionale sulle persone, derivante da regole non sempre gradite o favorevoli ai driver, possa essere ridotto, al punto di comprendere che la motivazione dei dipendenti non deve essere alimentata da una specie di corsa “al rialzo” (dei modelli, delle motorizzazioni, dei costi degli accessori pagati dall’azienda), bensì basata sulla soddisfazione di appartenere a un team vincente che tratta e considera le persone come risorse importanti nello sviluppo del proprio business, e non solo come destinatari di politiche retributive costruite sull’apparenza. Appartenenza contro apparenza. Questa è la ricetta che spinge manager, fleet manager e semplici driver ad affermare: “la mia azienda ha una policy chiusa e una scelta di modelli ridotta, non dà molta libertà ai driver ed è molto attenta ai costi, ma io sono orgoglioso e felice di lavorarci!”.
Seguendo questo approccio, basato sul concetto di “leading by examples”, economicità di gestione, efficienza e driver satisfaction si sposano in un connubio vincente.
Tornando al secondo esempio, possiamo porci questa domanda: quando gli executives che si sono resi responsabili della cessazione anticipata dei contratti ancora in essere e dell’introduzione dei SUV più inquinanti, dovranno presentare e sostenere con i driver gli aspetti innovativi e positivi della nuova “green car policy”, basata su modelli meno inquinanti, che credibilità personale avranno? Insomma, non è la spinta al continuo miglioramento della policy che rende soddisfatto il driver: ci sarà sempre un modello migliore, una car policy (apparentemente) migliore di qualche azienda simile, un accessorio in più eccetera. Il driver, prima di tutto, in quanto componente di una comunità, vuole sentirsi ascoltato e rispettato, non solo compensato in denaro; il quadro di diritti e doveri dell’assegnatario deve essere certo nei contenuti, applicato sistematicamente e sostenuto con vigore dal top management, perchè non c’è situazione
più devastante, all’interno dell’azienda, di quella nella quale un dipendente percepisce che potrebbe ottenere di più per se stesso (in particolare per ciò che riguarda l’auto) se gestisse meglio le relazioni a certi livelli e con certe persone, ovviamente sacrificando parte del tempo del proprio lavoro. Insomma, quando l’organizzazione non è meritocratica.
Come sono stati recepiti questi concetti dalle aziende e dai loro massimi dirigenti nel corso di questi anni? Purtoppo tante aziende hanno introdotto l’auto aziendale come puro “compenso in natura” sostitutivo di parte dello stipendio (perchè fiscalmente più conveniente). Le conseguenze di questa tendenza sono state:
– l’introduzione del costo di gestione delle auto come una voce fissa sostituiva di salari e stipendi;
– il reinvestimento di parte dei risparmi così ottenuti nella “corsa” al miglioramento dei modelli, nel tentativo di creare un vantaggio competitivo per attrarre le risorse migliori.
Questa seconda circostanza, si è fortemente radicata sui concetti di “apparenza” e di “status” che costituiscono spesso gli elementi decisionali dei driver e che le aziende hanno, in molti casi, volutamente assecondato proprio in base all’assunto che l’auto, in quanto “puro benefit” (o in uso promiscuo spesso con forte prevalenza dell’utilizzo personale), debba pienamente soddisfare tutte le richieste di tutte le tipologie di driver: massima libertà (policy “aperta”), possibilità di upgrade (a pagamento), servizi di alto livello e altro ancora.
Passione, immagine, design, potenza, accessori ed esigenze personali e familiari hanno guidato le richieste degli utilizzatori fino a oggi, in una tendenza che ha portato a un progressivo e notevole arricchimento dei modelli presenti nelle flotte aziendali. Questa tendenza, d’altro canto, è figlia della comunicazione dei costruttori verso il mercato e i clienti, che per anni ha indirizzato i propri messaggi pubblicitari sui concetti di emozione, design innovativo, comfort, ricchezza degli allestimenti, potenza e affidabilità. Solo alle marche e ai modelli non correlati con l’immagine e lo status del driver (i modelli finora considerati “non da flotta aziendale”) è stato lasciato il compito di promuovere i valori legati all’ecologia, ai bassi consumi, al prezzo ridotto (con qualche eccezione per entrambi i gruppi).
Le aziende si sono adattate ai gusti degli utilizzatori e il top management invece di guidare una politica coerente di approvvigionamento e gestione della flotta, si è fatto spesso promotore delle stesse richieste degli utilizzatori, creando situazioni di difficile gestibilità per gli esperti che devono dirigere il processo: il fleet manager, ma anche il direttore finanziario, i responsabili fiscali e la direzione del personale (che talvolta gioca un ruolo ambivalente).
Quali previsioni è possibile fare per il futuro e come potrebbe o dovrebbe cambiare l’atteggiamento dei top manager? Nonostante alcune evidenti difficoltà, tra le quali l’incertezza legislativa, la mancanza di incentivi statali per le aziende e i valori residui ancora troppo bassi, si sta affermando giorno dopo giorno il concetto di “guida ecologica”. Che significa non solo sostituire i modelli più inquinanti con altri a ridotto impatto ambientale e ridotte emissioni di CO2; significa soprattutto abbracciare il downsizing come una necessità e come una delle principali evoluzioni tecnologiche dei nostri tempi, in tutti i campi. Significa guidare in maniera
molto differente, non rinunciando alla tecnologia e al piacere di guida, ma facendo propri i concetti di sicurezza, risparmio ed ecologia, soprattutto attraverso il ridisegno della car policy, l’introduzione di corsi di guida ecologica per i propri driver, la definizione dei profili di guida dei driver per misurare il livello di emissioni effettive (e non solo teoriche) di ciascuna vettura.
In questo contesto, l’utilizzo della tecnologia e il supporto, scarso fino a un anno fa, ma ora crescente, da parte di costruttori e noleggiatori, sono elementi-chiave per lo sviluppo di un nuovo modo di concepire l’auto aziendale, che viene rimodellata sulle più importanti rivoluzioni tecnologiche in atto. Il ruolo dei leader aziendali è centrale in questo processo, in particolare per ciò che concerne il sostegno e la comunicazione di queste iniziative. Spesso uno degli errori commessi da chi gestisce la flotta auto è quello di comunicare poco e di non coinvolgere sufficientemente gli utilizzatori nei processi di cambiamento: in futuro, questo errore non potrà più essere commesso, perchè inevitabilmente genererà uno scollamento tra la car policy e i driver, tra la filosofia di gestione della flotta e le evoluzioni sociali in atto.