Quale sorte per i cieli aperti?

Risale al 30 aprile 2007 la firma degli accordi Open SkiesPlus, volti a liberalizzare il traffico aereo tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti. All’epoca, gli esperti del settore dichiararono che questi trattati avrebbero aperto nuove, interessanti opportunità di business per le compagnie aeree: soprattutto per quelle americane, in crisi economica e desiderose di espandersi in nuovi mercati. «Questo accordo è l’asse portante del rafforzamento delle attuali relazioni transatlantiche e, insieme, è un grande passo a sostegno dell’aviazione internazionale – dichiarò in proposito Jacques Barrot, vicepresidente della Commissione Europea sui trasporti -. Consentendo che nuovi servizi vengano avviati dagli scali del Vecchio continente si darà impulso sia al mercato transatlantico sia all’industria europea».
In effetti, da allora i collegamenti tra Vecchio e Nuovo Continente si sono moltiplicati. L’ultimo vettore in ordine di tempo a proporre questo tipo di servizio è stato British Airways, che nel mese di ottobre ha inaugurato un volo intercontinentale all-business tra Londra e New York. Il collegamento sarà operato due volte al giorno con aeromobili A318 e metterà a disposizione numerosi servizi tecnologici (collegamento a Internet, possibilità di inviare Sms ed email). Non mancano altri esempi: Air Berlin ha annunciato l’intenzione di aprire a partire da maggio un nuovo collegamento da Düsseldorf a San Francisco, che andrà ad aggiungersi ai sette già operati dalla Germania per gli Stati Uniti, mentre Delta Air Lines ha riconfermato anche per l’estate 2010 i voli Pisa-New York Jfk, Venezia-Atlanta e Roma Fiumicino-Detroit.
Oggi, però, il futuro dei “cieli aperti” appare nuovamente incerto. L’Amministrazione di Barak Obama, infatti, è in netto disaccordo con le principali clausole previste nella fase II dell’accordo. E la sua opposizione rischia di far naufragare l’intero trattato, mettendo in seria difficoltà i vettori di entrambi i continenti.
Prima di illustrare più in dettaglio la vicenda, conviene spiegare in che cosa consiste esattamente il trattato Open Skies Plus. Subentrato ai 22 accordi bilaterali siglati in precedenza dagli Usa con gli Stati membri dell’Ue, esso si articola in due fasi: la prima, siglata il 30 aprile 2007 a Washington, ha concesso ai vettori dei due continenti la libertà di percorrere qualunque rotta tra gli aeroporti americani e quelli europei. Il risultato, ovviamente, è stata una maggiore concorrenza tra le compagnie, con conseguente ampliamento dell’offerta rivolta ai passeggeri e diminuzione delle tariffe. La fase II, attualmente in discussione, punta invece a creare una vera e propria Open Aviation Area: un unico mercato che includa Stati Uniti ed Europa, all’interno del quale le compagnie aeree dei due continenti possano effettuare investimenti e fornire i propri servizi senza alcuna limitazione, accedendo anche ai rispettivi mercati domestici. E sono proprio questi elementi ad aver suscitato le perplessità dell’Amministrazione Obama: nel corso di un incontro svoltosi a Washington dal 7 al 9 ottobre, l’attuale governo americano si è opposto all’approvazione della clausola che, a partire dal 2010, consentirebbe ai vettori europei una maggiore libertà di acquisto delle aerolinee statunitensi. Attualmente, infatti, ai gruppi stranieri è consentita una partecipazione azionaria non superiore al 25%. Al contrario, gli investitori statunitensi possono acquisire fino al 49% delle azioni di aviolinee europee. In una nota ufficiale la Faa, Federal Aviation Administration, ha dichiarato che i cittadini statunitensi “devono poter avere il pieno controllo su tutte le questioni connesse con l’attività e l’organizzazione dei propri vettori”.
In attesa di conoscere l’esito dei negoziati, previsto entro la fine dell’anno, ricordiamo che qualora gli Usa non decidessero di non rispettare gli accordi, l’Unione Europea avrebbe la facoltà di revocare i diritti d’accesso ottenuti dai carrier americani a seguito dell’approvazione della fase I.
L’atteggiamento di stampo protezionistico degli Usa trova conferma anche nell’ipotesi avanzata dalla Commissione Americana dei Trasporti di sottoporre a una più severa applicazione delle norme antitrust le alleanze aeree (Oneworld, Star Alliance e SkyTeam), che attualmente generano oltre il 90% del traffico aereo globale. Nei mesi passati Jim Oberstar, presidente della Commissione, ha annunciato addirittura l’intenzione di proporne lo scioglimento, qualora dovesse emergere che queste coalizioni costituiscono una restrizione alla libera concorrenza. «Sono certo che questo sistema sia vantaggioso per le compagnie aeree – ha sottolineato in proposito Oberstar -. Ma era davvero questo quello che volevamo ottenere quando abbiamo votato in favore della deregulation, nel 1978? Sicuramente no».

Altri accordi
Mentre Open Skies Plus è in fase di stallo, gli altri Stati fanno dei passi avanti verso la liberalizzazione. Risale allo scorso novembre la firma del “Multilateral Statement of Policy Principles”, un memorandum d’intesa che coinvolge, oltre agli Usa e all’Unione Europea, anche Cile, Malesia, Panama, Singapore ed Emirati Arabi. In totale, questi Paesi rappresentano il 60% dell’aviazione mondiale.
In pratica, questi Stati si sono impegnati a rendere meno restrittivi alcuni accordi bilaterali stipulati 65 anni fa. Tale revisione porterà a due risultati fondamentali: in primo luogo, una maggiore libertà di accesso delle compagnie aeree ai mercati delle altre nazioni, non soltanto sul piano operativo, ma anche finanziario. Inoltre, la possibilità di stabilire liberamente le tariffe, adattandole alla realtà dei singoli mercati.
«Si tratta di un risultato storico, che contribuirà a gettare le basi per un’industria globale del trasporto aereo finanziariamente sostenibile – ha dichiarato Gianni Bisignani, ceo di Iata -. 65 anni fa, quando le compagnie aeree facevano parte degli apparati statali, il sistema degli accordi bilaterali e le sue restrizioni avevano un senso. Oggi però il mondo è cambiato. Le compagnie aeree sono un business reale, soggetto alle dure leggi del mercato e che ha accusato, dal 2001 a oggi, perdite nette pari a 53 miliardi di dollari. Attualmente il settore delle aviolinee è ancora molto frammentato. È fondamentale che ci sia consentita la stessa libertà di fare business che è garantita in altri mercati».

 

Testo di Elisabetta Tornatore, Mission n. 8, novembre-dicembre 2009

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