Nell’ultimo decennio i low cost hanno messo a segno una crescita inarrestabile, mentre i competitor tradizionali erano alle prese con bilanci sempre più in rosso. Merito di un modello di business che riduce all’osso i costi operativi e consente l’offerta di tariffe estremamente competitive, in grado di attrarre anche la clientela business. Attualmente le performance di questa tipologia di vettori sono ancora positive, pur non esibendo più le percentuali di crescita a due cifre del passato: OAG, società specializzata nell’analisi di dati relativi al trasporto aereo, ha rivelato ad esempio che nel mese di ottobre le frequenze e la capacità delle “no frills”, a livello mondiale, sono aumentate rispettivamente del 5,3% e del 5,6% rispetto al corrispondente periodo del 2008.
Ciononostante, anche le compagnie a basso costo cominciano a risentire del difficile panorama economico, come dimostrano le recenti uscite di scena di alcuni player illustri. Come è noto, lo scorso settembre ha dichiarato fallimento la compagnie dell’Europa dell’Est SkyEurope, dopo aver accumulato perdite
per 59 milioni di euro. È incerto, inoltre, il destino del low cost MyAir, di proprietà della famiglia
Soddu. In una prima fase sembrava che il vettore vicentino, che lo scorso luglio si è visto sospendere la licenza dall’Enac, fosse destinato ad accettare la proposta di affitto d’azienda avanzata da IR Conset, holding di partecipazioni di proprietà delle società Industrie Riunite e Conset. Poi, a sorpresa, si è fatta avanti la compagnia albanese Star Airways, che ha formulato un’offerta di 22,5 milioni di euro e si è detta disposta a rilanciare la low cost italiana.
E le no frills ancora operative? Sempre più spesso si fondono e stipulano partnership, al fine di ottimizzare i costi e mantenersi competitive: a inaugurare questa tendenza, già nel 2005, erano state Transavia e Basiq Air, che insieme avevano dato vita alla compagnia aereaTransavia.com. Risale allo scorso luglio, invece, la fusione tra Vueling e Clickair: il nuovo vettore, che ha preso il nome di Vueling, conta attualmente sette basi operative e una flotta di 35 aerei. Nel 2009 prevede di trasportare circa 11 milioni di passeggeri sulle 92 rotte operate, per un totale di 46 aeroporti in 18 Paesi.
Il 25 ottobre, inoltre, la compagnia aerea airberlin ha assorbito le rotte italiane di TUIfly, vettore del gruppo TUI. Grazie a questa operazione, l’aerolinea ha ampliato notevolmente il proprio network, aggiudicandosi il 30,4% delle quote di mercato nazionali sui voli per la Germania: un market share superiore a quello di Lufthansa. Oltre agli scali da cui già opera (Milano, Roma, Venezia e Catania), d’ora in poi airberlin offrirà collegamenti da Napoli, Bari, Brindisi, Palermo, Cagliari e Olbia. TUIfly, invece, concentrerà la propria attività sul traffico charter di medio raggio dalla Germania, che rappresenta da sempre uno dei suoi principali rami di business.
Di recente, infine, si è parlato del tentativo di acquisto di Aer Lingus da parte di Ryanair. Un’operazione ancora dagli esiti incerti (il vettore irlandese ha rifiutato già due proposte del low cost, e di recente Michael O’Leary ha dichiarato che non intende avanzarne una terza), ma dal valore storico: se andasse in porto, infatti, sarebbe il primo caso di acquisizione di una compagnia tradizionale da parte di un low cost.
«L’attuale processo di consolidamento dei low cost è la replica di ciò che sta accadendo già da tempo
nelle compagnie aeree tradizionali – commenta David Jarach, docente senior presso la Sda Bocconi e presidente di Diciottofebbraio, boutique di advisory strategica dedicata al comparto dell’air transportation –. Oggi anche i vettori a basso costo, se vogliono sopravvivere, debbono necessariamente
adottare economie di scala. I giganti del settore, come Ryanair e easyJet, hanno le carte in regola per mantenersi a galla. Gli operatori più piccoli, invece, soffrono perché non dispongono della massa critica necessaria per competere in un mercato difficile come quello attuale. Quindi si fondono con altri player, come è accaduto a Vueling e Clickair, oppure compiono investimenti significativi per diventare più “grandi”: è il caso, ad esempio, di Wizz Air, che negli ultimi mesi ha ordinato 150 nuovi aeromobili con l’obiettivo di espandere il proprio network».
La nuova era delle ibride
Il cambiamento nel numero dei player, però, non è l’unica metamorfosi in atto nel settore low cost. Per resistere alla crisi e conquistare nuove fasce di clientela, queste compagnie stanno modificando il proprio modello di business, che diventa sempre meno “spartano” e sempre più simile a quello dei vettori tradizionali. «Accanto ai low cost “puri” (Ryanair e easyJet), che propongono servizi a pagamento e affidano le vendite quasi esclusivamente a Internet, negli ultimi anni stanno emergendo le cosiddette no frills “ibride”, che propongono tariffe competitive, pur garantendo un servizio sempre più simile a quello delle
compagnie di linea – dichiara Letizia Orsini, country manager per l’Italia di TUIfly e autrice del volume “Volare low cost”, edito da Hoepli –: ad esempio, consentono l’imbarco gratuito di 20 chilogrammi di bagaglio, offrono snack e bevande a bordo e applicano alle vendite un approccio multicanale, che prevede la visualizzazione dei voli sui principali Gds, la creazione di siti dedicati alle agenzie di viaggio, ma anche la messa a punto di tariffe corporate». È il caso della già citata airberlin, ma anche di Vueling o Germanwings, che consentono di prenotare il posto a bordo e offrono un programma di raccolta punti ai viaggiatori frequenti.
Questa nuova tipologia di vettori a basso costo suscita un elevato interesse da parte delle aziende. «Negli ultimi anni – conferma Orsini – i low cost hanno conquistato un numero crescente di business traveller, e rispondono a questo interesse proponendo servizi ad hoc: ad esempio, orari studiati per chi effettua l’andata e il ritorno in giornata e comode coincidenze con altri voli».
Testo di Simona Greppi, Mission n. 7, ottobre 2009