Si sa, sono tempi duri per le compagnie aeree. In molte lottano per tagliare i costi e riportare in pari i bilanci. Così gli ancillary revenue, cioè tutti i proventi derivanti dai prodotti “extra volo”, assumono un ruolo sempre più strategico per racimolare profitti. Una politica che riguarda non soltanto i vettori low cost, che degli extra a pagamento hanno sempre fatto la propria bandiera, ma anche le compagnie di linea tradizionali, soprattutto negli Usa. La gamma dei servizi accessori, ormai, è davvero ampia: si paga per stipulare un’assicurazione di viaggio, per prenotare alberghi e auto a noleggio, per scegliere il menù in anticipo, ma anche per fare il check-in in aeroportoo per ottenere la priorità nell’imbarco, ricevere Sms di avviso, stivare i bagagli o avere a disposizione più spazio per le gambe. Per non parlare di proposte più fantasiose, quali le scommesse online offerte MyAir.com, o la possibilità di prenotare case di vacanza sul sito di Transavia.com. O l’ultima trovata di easyJet, che sta valutando la possibilità di far celebrare ai propri piloti originalimatrimoni ad alta quota. Gli sposi potrebbero dire sì sul volo da Milano a Parigi, per poi andare direttamente in luna di miele nella città romantica per eccellenza.
L’indiscusso leader sul fronte degli ancillary revenue, però, è Ryanair: è sua la provocatoria proposta di far pagare l’utilizzo dei bagni a bordo, così come il provvedimento di rendereobbligatorio il check-in online, ma anche il recente concorso online che premiava con 1000 euro l’idea più creativa per ridurre i costi. Oltre 30mila passeggeri si sono espressi a favore della cosiddetta “tassa sul grasso” da applicare ai viaggiatori in sovrappeso, e la compagnia in un primo momento si è detta propensa a valutarne seriamente l’introduzione, sulla falsariga di quanto già fanno alcuni carrier Usa. «Dal momento che i passeggeri hanno votato in maniera preponderante per una “tassa sul grasso” – ha affermato infatti Stephen McNamara, di Ryanair -, stiamo chiedendo loro di suggerire quale forma debba assumere tale addebito». Quattro le ipotesi in ballottaggio: un sovrapprezzo per ogni chilogrammo in più oltre i 130 chili, per ogni pollice al girovita oltre i 114 centimetri, ma anche per ogni punto sopra i 40 di indice di massa corporea. Oppure, l’addebito di un secondo posto a sedere quando la circonferenza dei passeggeri tocca simultaneamente entrambi i braccioli. «Abbiamo fissato limiti a livelli molto alti – ha aggiunto McNamara -, per cui una “tassa sul grasso” si applicherà solo a quei passeggeri veramente grossi che invadono lo spazio dei passeggeri che siedono accanto a loro in volo». In realtà, sembra che questa possibilità sia stata poi scartata, ma intanto la provocazione resta.
Possiamo anche riderci su, ma è un fatto assodato che i servizi extra sono in grado di incidere in maniera rilevante sull’importo finale di una tariffa. Per dimostrarlo abbiamo simulato la prenotazione di un volo Milano-Londra della già citata Ryanair: la tariffa stracciata di partenza (5 euro, incluse tasse e oneri) arriva a superare i 68 euro se si sceglie di stipulare un’assicurazione di viaggio (14,50 euro), di stivare un bagaglio (10 euro) e una borsa contenente un’attrezzatura sportiva (30 euro).
«Soprattutto per alcuni vettori a basso costo, gli ancillary revenue rivestono un’importanza fondamentale – commenta Letizia Orsini, country manager per l’Italia di TUIfly e autrice del volume “Volare low cost”, edito da Hoepli -. In generale negli ultimi anni si è registrato un progressivo aumento di questa voce: secondo recenti dati raccolti da Amadeus, essa rappresenta attualmente circa il 10% dei profitti complessivi dei vettori di linea e dei low cost. In Europa puntano sugli “extra” soprattutto easyJet e Ryanair, per i quali i servizi a pagamento generano rispettivamente il 20 e il 22% dei profitti (dati 2008). Vi sono però differenze rilevanti nel modo di intendere gli ancillary revenue: la maggior parte dei vettori a basso costo si limita a proporre quelli più classici, come le assicurazioni di viaggio o le fee su autonoleggi e prenotazioni alberghiere. Vi sono poi poche compagnie che hanno deciso di spingere all’estremo questa politica, ad esempio applicando onerose sovrattasse sull’imbarco dei bagagli».
Gli ancillary revenue, oltretutto, non sono appannaggio esclusivo dei low cost. «Solo in Europa questa fonte di reddito è adottata esclusivamente dai vettori a basso costo – sottolinea infatti Orsini -: Negli Stati Uniti, al contrario, sono soprattutto le compagnie aeree tradizionali a puntare sui servizi a pagamento, mentre “no frills” del calibro di Southwest hanno trasformato l’assenza quasi totale di costi aggiuntivi in un punto di forza della propria offerta».
Secondo quanto riportato dal quotidiano americano Usa Today, ad esempio, American Airlinesavrebbe deciso di applicare alle proprie tariffe l’“unbundling”, ovvero la separazione delle voci che un tempo concorrevano a formare il prezzo del biglietto aereo. In pratica, sulla scia di quanto già proposto da Air Canada, il vettore offrirà una tariffa base per il solo volo, più una lista di servizi “à la carte” che includerà tutti gli extra: dai pasti, ai cuscini, alle mascherine, alla telefonia, fino alla connessione a Internet, al check-in prioritario, alla scelta del posto e al bagaglio a mano. Una strategia che sembra essere vincente, almeno in termini di revenue: dai recenti dati delBureau of Trasportation Statistics, ad esempio, è emerso che le sole fee sui bagagli hanno fruttato alle 21 principali compagnie aeree a stelle e strisce, nel corso del 2008, ben 2,1 miliardi di dollari. Una cifra destinata ad aumentare: United Airlines, ad esempio, ha deciso di incrementare questo costo di 5 dollari, arrivando a imputare ai passeggeri ben 20 dollari sul primo bagaglio imbarcato e 30 sul secondo. E dal 1° luglio Delta ha applicato una fee di 50 dollari sul secondo bagaglio imbarcato nei voli tra gli Stati Uniti e l’Europa.
Ma i passeggeri, che cosa ne pensano?
Di recente Amadeus ha sondato le opinioni di oltre 2000 viaggiatori americani sui servizi aerei “à la carte”. È emerso che la maggior parte dei passeggeri (ben l’85%) detesta pagare per servizi che in passato riceveva gratuitamente. A detta del sondaggio, il 52% comprende le motivazioni che hanno spinto i vettori a far pagare i servizi extra e il 53% afferma di preferire la tariffa di volo più bassa possibile, in modo da poter scegliere e pagare a parte i servizi che desidera. Osservando i dati più in dettaglio, però, si nota che solo un viaggiatore su 10 afferma di essere disposto a pagare per i servizi opzionali, il 18% preferisce un biglietto all inclusive a un prezzo maggiore, mentre meno di un terzo pensa che le compagnie aeree abbiano esagerato con le nuove tariffe. Inoltre, la metà degli intervistati ritiene che il biglietto dovrebbe continuare a includere almeno il primo o il secondo bagaglio registrato, il 17% indica che il servizio di coperte e cuscini dovrebbe essere gratuito, mentre il 15% desidererebbe poter scegliere gratuitamente il posto a bordo. «Per la prima volta da decenni, la modalità “à la carte” sta reinventando l’approccio al settore retail da parte delle compagnie aeree, creando l’opportunità di offrire una vera differenziazione rispetto alle compagnie concorrenti e un grande valore aggiunto per i consumatori – ha commentato Robert Buckman, director of airline distribution strategies di Amadeus North America -. Inoltre, i viaggiatori non percepiranno gli extra in modo negativo se in cambio ottengono qualcosa che apprezzano, che si tratti della possibilità di scegliere, di comodità o di semplificazione». Il 57% degli intervistati, ad esempio, afferma di essere disposto a pagare una tariffa extra per avere la possibilità di cambiare il biglietto senza penalità. Circa il 40%, inoltre, dichiara la disponibilità a pagare un extra per risparmiare tempo, ad esempio per la precedenza al check-in, all’imbarco o allo smistamento bagagli e per la possibilità di volare con un bagaglio a mano aggiuntivo.
«Disseminare la prenotazione di costi aggiuntivi rischia di far lievitare molto il prezzo finale, pregiudicando la trasparenza nei confronti dell’utente e scontentando i passeggeri – sottolinea Letizia Orsini -: si tratta, tra l’altro, di una strategia che non paga con la clientela business, soprattutto se i servizi a pagamento sono molto vincolanti, come nel caso delle fee sull’imbarco del bagaglio. Al contrario, si possono percorrere diverse strade per ridurre i costi e aumentare i revenue, offrendo al contempo alla clientela servizi che abbiano un reale valore aggiunto: easyJet, ad esempio, sta puntando molto sull’offerta di formule “volo più hotel”, mentre TUIfly ha scelto di investire soprattutto sulla pubblicità a bordo, che non ricade sul consumatore finale».
Ma qual è l’opinione dei travel manager sui servizi a pagamento? «I dipendenti della mia azienda utilizzano poco i voli low cost perché gli aeroporti di partenza e di arrivo sono scomodi e gli orari non sono compatibili con le nostre esigenze di business – dichiara Grazia Maria Giordano, purchasing manager corporate services di Vodafone -. Tra i motivi per cui abbiamo scelto di non incentivare l’utilizzo di questo tipo di vettori, inoltre, compare proprio l’offerta di servizi extra a pagamento: il viaggiatore, infatti, potrebbe decidere in aeroporto o a bordo di ampliare la gamma dei servizi, facendo lievitare notevolmente il costo totale del viaggio. Un problema difficile da risolvere, a meno di imporre una policy estremamente rigida sulle amenities durante il viaggio, rischiando di scontentare i dipendenti».
«Vista la convenienza delle tariffe, la mia azienda ha deciso di utilizzare esclusivamente i low cost sulle rotte point to point per le capitali europee, a meno che non sia disponibile a parità di prezzo il collegamento di un vettore tradizionale – afferma inoltre Daniela Luciano, travel manager di Sixty -. Certamente, i servizi a pagamento possono modificare in maniera rilevante il prezzo del biglietto. Va detto, però, che il passeggero è lasciato libero di scegliere se usufruirne o meno. Quando prenoto un volo low cost per un dipendente, mi sincero sempre in anticipo di quanti bagagli intende imbarcare, in modo da avere un’idea precisa della tariffa finale».
Testo di Arianna De Nittis, Mission n. 5, giugno-luglio 2009