Come l’araba fenice

Si è svolto il 7 novembre a Milano presso la sede della Sda Bocconi il forum internazionale“L’evoluzione del trasporto aereo: scenari futuri e conseguenze sul mercato business”, organizzato daCarlson Wagonlit Travel in collaborazione con Sda Bocconi. La manifestazione ha rappresentato un importante momento di confronto sulle più recenti tendenze dell’industria del trasporto aereo. Di fronte a una platea di oltre settanta travel manager e direttori acquisti di grandi aziende italiane e multinazionali, un gruppo di esperti ha approfondito i temi “caldi” del settore: dagli sviluppi del fenomeno low cost in Europa, all’ingresso di questi vettori sulle tratte a lungo raggio, agli effetti del recente accordo Open Skies tra Usa e Vecchio Continente, fino al nuovo ruolo giocato dagli aeroporti internazionali e alle opportunità offerte alle aziende per ottimizzare le spese di viaggio. A sintetizzare l’andamento del settore è stato Roberto Bacchi, amministratore delegato di Carlson Wagonlit Travel Italia, che ha paragonato l’industria del trasporto aereo all’araba fenice, l’uccello mitologico in grado di risorgere dalle proprie ceneri. «Dopo l’11 settembreil comparto, nell’arco di soli due anni, ha “bruciato” risorse pari a quelle che aveva generato nei 40 anni precedenti – ha dichiarato Bacchi -. Nel periodo successivo, però, i vettori hanno avuto la forza e la capacità di rigenerarsi, grazie anche a una crescente propensione alla mobilità da parte delle aziende. È necessario tuttavia che l’evoluzione in corso e gli scenari futuri vengano approfonditi in tutti i loro aspetti affinché le aziende possano anticipare il cambiamento e “governarlo”».

«Prima di analizzare i cambiamenti epocali che il trasporto aereo sta affrontando, vorrei ricordare come il traffico passeggeri sia attualmente in crescita in tutte le regioni – ha sottolineato David Jarach, docente area marketing Sda Bocconi ed esperto aeronautico -. Le stime dell’Icao, International Civil Aviation Organisation, prevedono per il 2007 una crescita del +4% negli Stati Uniti, del +10,5% nel Medio Oriente, del +6,7% nell’area Asia Pacifico e del +6,2% in Europa. Così i vettori di linea macinano profitti: 1,1 miliardi di dollari per le compagnie nordamericane, 2,1 miliardi in Europa e 3,1 miliardi in Asia e Medio Oriente. Revenue che, se come molti analisti ritengono il petrolio ritornerà a costare 60-70 dollari al barile, sono destinati ad aumentare ulteriormente in futuro. Il tutto a dispetto della continua “erosione” di passeggeri messa in atto dalle compagnie low cost, nate in Europa nella metà degli anni Novanta».

Il ruolo chiave delle low cost

L’avvento – e il successo – di questo nuovo modo di volare è uno dei punti focali dell’evoluzione del trasporto aereo in tutto il mondo: «Questa tipologia di vettori ha spostato l’attenzione dei viaggiatori, anche quelli d’affari, in primo luogo sul pricing, mentre in precedenza altri fattori pesavano sulla scelta di un volo – ha confermato Jarach -. In Europa le low cost si avviano ormai a detenere il 25% del mercato, contro il 5% del 2000».

Il traffico in crescita, però, non coincide necessariamente con il successo finanziario. «Eccezion fatta per le “big” del settore (ad esempio, Ryanair e easyJet), che continuano a migliorare le proprie performance, sono molti i vettori low cost con bilanci in rosso – ha aggiunto Jarach -. È il caso, ad esempio, di Vueling, SkyEurope e Clickair. Non è un caso che attualmente siano aperti ben cinque dossier tra i fondi di private equity su possibili acquisizioni di compagnie a basso costo».

Differenti modelli a basso costo

Attualmente il mercato europeo delle compagnie a basso costo presenta ben sette differenti modelli organizzativi: le low cost pure alla Ryanair, quelle ibride (easyJet o Air Berlin), quelle premium, (Vueling o Sterling), quelle all’interno della aviolinee tradizionali (Clickair, Germanwings, Transavia, Centralwings o Volareweb), quelle regionali (Flybe), quelle nate dallaconversione dei vettori charter (TuiFly e Monarch) e quelle che su uno stesso aereo fannoconvivere il modello low cost con il full fare, come Sn Brussels o Aer Lingus. «Sono ancora troppo poche, però le low cost che ottengono profitti, e c’è da chiedersi quali tra questi segmenti di mercato abbia ancora spazio per crescere – ha sottolineato Jarach -. Secondo me solo quello dei vettori regionali ha ancora margini di crescita. Per il resto ci si avvierà verso un consolidamento di mercato. Non sono neppure convinto del valore delle low cost come costola dei vettori tradizionali. Negli Usa queste compagnie sono state tutte chiuse o cedute, e anche in Europa ci sono stati molti esempi simili (ad esempio, Snowflake per Sas)».

Nuovi target di clientela

Per riuscire a crescere, negli ultimi anni i vettori a basso costo hanno cominciato a rivolgersi a nuovi target di clientela, quali il segmento corporate. Il ricorso delle aziende europee alle no frills, però, è ancora modesto. «Secondo le evidenze di Cwt Air Solution Group, attualmente i business traveller europei non volano low cost – ha detto Joseph Antoine-Hervé, director Emea di Cwt Solutions Group -. Fanno eccezione la Norvegia, dove il 12,4% dei viaggiatori d’affari ricorre a questi vettori, la Germania (11,3%), l’Irlanda (8,8%), l’Olanda (7,6%) e l’Austria (5%). In Italia la percentuale è di circa l’1,2%. L’avvento delle low cost, però, ha ottenuto l’effetto di innalzare in modo esponenziale la percentuale di coloro che, pur volando con i vettori tradizionali, prenotano tariffe con restrizioni e/o promozionali. La media, in costante crescita, è del 40%».

«La convenienza delle tariffe, comunque, non è l’unico fattore che in futuro potrebbe convincere le aziende a ricorrere alle no frills – ha aggiunto Andrea Solari, direttore commerciale di Cwt Italia -. I business traveller sono attratti anche dal tipo di collegamenti che, spesso, vengono operati dagli scali minori “sotto casa” e portano il viaggiatore direttamente a destinazione, senza passare dai caotici hub delle grandi città». Non è un caso che quest’anno i cosiddetti aeroporti “minori” britannici supereranno la fatidica cifra dei 100 milioni di passeggeri transitati.

Gli effetti dei “cieli aperti”

A mutare ulteriormente il panorama del trasporto aereo saranno, nel prossimo futuro, i trattati di Open Skies stipulati tra il Vecchio Continente e gli Stati Uniti. «Si creerà un unico spazio aereo aperto tra Usa e Ue, anche se l’accordo non mette i vettori americani e quelli europei sullo stesso piano – ha spiegato Jarach –. Infatti le compagnie Usa potranno effettuare voli in prosecuzione sul suolo europeo, collegando due diverse città all’interno dell’Ue, ma anche destinazione nei Paesi che non sono ancora membri (ad esempio la Norvegia), possibilità questa negata ai vettori europei negli Usa. Il trattato, comunque, dovrebbe stimolare la concorrenza e ampliare la gamma di offerte per i viaggiatori. La crescita sarà tanto più forte quanto più i vettori statunitensi apriranno rotte con l’Europa».

«Per quanto riguarda il traffico business – ha dichiarato Joseph Antoine Hervé – l’accordo Open Skies porterà a un maggior numero di rotte, di frequenze e di coincidenze. Condurrà anche a una maggiore competizione e, conseguentemente, al lancio di nuove tariffe più economiche e a un miglioramento del livello di servizio».

«Ci aspettiamo – ha aggiunto Jarach – una battaglia su Heathrow: tra i primi segnali, è già in corso, ad esempio, uno slot trading tra i membri di SkyTeam e Lufthansa sta accelerando l’acquisizione di Bmi che porta in dote 13 slot sull’aeroporto londinese. E anche i low cost pensano al lungo raggio, anche se il modello long-haul potrà essere realizzato solo a partire da bacini di utenza di grandi dimensioni, quali Regno Unito e Olanda. Più incerta l’affermazione in Italia». Intanto nascono le prime joint venture tra vettori, come quella tra Delta ed Air France. Proprio sulle tratte atlantiche inoltre, si inseguono i rumor su una possibile fusione tra American Airlines e British Airways. «Operazioni, queste, che potrebbero anche mettere in crisi le alleanze globali dei cieli, che, ad oggi, si basano soprattutto su accordi commerciali e operativi, senza sinergie industriali» ha precisato Jarach. Ricordiamo che oggi le alleanze controllano complessivamente il 63% del Bsp mondiale, con Star Alliance al 26%, Skyteam al 19,6% e Oneworld al 15,4%. «Attualmente circa il 70% dei viaggi d’affari viene operato con le alleanze – ha dichiarato Joseph Antoine-Hervé -. Una percentuale che in Italia sale all’85%: Skyteam la fa da padrone con il 54%, seguita da Star Alliance con il 25% e da Oneworld con il 6%». Jarach però, non ha nascosto che queste alleanze spesso sembrano solo “cosmetiche”: non hanno aggredito i costi e non fanno fronte comune per gli acquisti (ad esempio, il carburante). Ciò le rende instabili. «Ora il vero terreno di scontro sarà trovare un alleato credibile nelle grandi economie in crescita, quali Cina e India» ha detto Jarach. Ad oggi Skyteam ha stipulato accordi con China Southern Airlines. A breve sarà la volta di Star Alliance con Air China e Shanghai Airlines, mentre si attendono le mosse di Oneworld.

Nella regione mondiale dove il traffico aereo cresce maggiormente, ovvero il Medio Oriente, prevale invece la strategia “stand alone”: “Grazie a un piano di sviluppo coerente facciamo sempre il pieno di fatturato e soprattutto di utili (623 milioni di euro di utili netti nel primo semestre 2006/07, Ndr) – ha commentato Massimo Massini, direttore area Mediterranean South di Emirates Vogliamo continuare così: scegliere noi la direzione in cui crescere».

È l’era delle “aerotropoli”

«Un aeroporto con meno di un milione di passeggeri non sta in piedi». Questo l’assioma di partenza che David Jarach ha messo in campo per parlare del futuro degli aeroporti. «Massa critica quindi, ma anche maggiori entrate non aviation rispetto a quelle aviation – ha aggiunto Jarach -; gli scali di maggior successo sono quelli che vengono definiti infatti shopping mall with runaways, con lo scalo di Dubai come miglior esempio che, non per nulla, è il più redditizio al mondo». L’Ebitda ideale per gli aeroporti dovrebbe aggirarsi sul 30%, mentre quelli italiani si fermano al 15%, molto lontano, ad esempio, dall’eccellenza di quello di Manchester, al 45%. «I profitti derivano principalmente dallo shopping che, secondo molti studi, esorcizza la paura di volare» ha sottolineato Jarach. «I ricavi non aviation del gruppo Sea – ha detto Giuseppe Bonomi, presidente della società di gestione degli scali milanesi – si attestano sul 42% del fatturato complessivo. Una percentuale che vogliamo accrescere da qui al 2012 con il nostro nuovo piano industriale, che punta a portare il ricavo medio per passeggero da 6,1 a 7-7,5 euro, in linea con quanto avviene con gli aeroporti del Nord Europa». A Malpensa inoltre si sta realizzando un hotel da 400 camere, nonché un museo dell’aviazione nelle ex officine Caproni di Vizzola Ticino, Volandia, con sale meeting annesse: il Mice ifatti, è una delle direttrici di futuro sviluppo degli aeroporti. «Le attività non aviation sono quelle che ci permettono di sopravvivere» ha confermato il direttore generale dello scalo Catullo di Verona Claudio Boccardo. «In Italia però, le entrate degli scali sono ancora troppo sbilanciate verso le attività avio – ha ricordato Salvatore Sciacchitano, vice direttore generale Enac -. Sulla base dei bilanci 2005 i ricavi delle società di gestione aeroportuale derivano in media per il 54% dal comparto avio, per il 38 da quello non avio e per la restante quota dall’handling».

Ma i margini sono sempre più bassi

Un settore affollato quello aereo, in cui tanti soggetti, con modelli di business differenti, cercano di soddisfare l’esigenza di volare del consumatore. In una congiuntura industriale difficile, con costi del carburante alle stelle, e tariffe sempre più basse. Elementi questi che portano a margini sempre più bassi per il comparto: la media è del 6%. «I nostri risultati si attestano su questa percentuale, malgrado i costi per la nostra integrazione, che ormai possiamo ritenere praticamente conclusa» ha commentato Fabio Andaloro direttore commerciale di Air France. Sul mercato, però, vi sono anche risultati eccellenti come quello a cui punta British Airways, che dovrebbe arrivare al 10% quest’anno, o come Emirates, che nel primo semestre 2007-2008 ha toccato il 13,7%. In media i vettori raggiungono a stento un Roi (Return on investment) del 9,5%, mentre l’indice di redditività di altri soggetti della filiera turistica è molto più interessante: la media dei gds ad esempio, si attesta al 30%, quella dei costruttori di aeromobili al 16% e quella dei gestori aeroportuali a più del 10%. In compenso, però, il comparto continua a migliorare i propri indicatori industriali: il load factor, ad esempio, è in crescita continua dal 1995 (escludendo il biennio 2001-2002) e oggi tocca una media del 74%. Gli analisti, infine, tornano a considerare i titoli dei vettori come “buy”, malgrado il caro petrolio.

Testo di Cristina Nerelli – Mission N. 7, novembre-dicembre 2007

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